ETS ed Enti non commerciali

02 Marzo 2020

L’ente religioso non civilmente riconosciuto e il Terzo settore

Quale destino alla luce delle previsioni del CTS, che definisce la sola posizione degli enti riconosciuti.

L’art. 4, c. 3 del Codice del Terzo settore (CTS) prevede che gli enti religiosi civilmente riconosciuti, non potendo acquisire la qualifica di enti del Terzo settore, a particolari condizioni possono tuttavia costituire un “ramo” ETS per lo svolgimento delle attività di interesse generale di cui all’art. 5 D.Lgs. 117/2017. Per gli altri enti religiosi non civilmente riconosciuti, mancando una disciplina propria, vale la disciplina generale del Terzo settore, in particolare il possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dal CTS. L’esame di tali requisiti deve partire dalle attività di interesse generale.

In primis occorre verificare se, data la finalità di culto e religione che connota principalmente l’ente religioso, l’attività religiosa che viene svolta in attuazione di tali finalità, possa rientrare tra le attività di interesse generale di cui all’art. 5 D.Lgs. 117/2017, essendo condizione sine qua non, ai sensi dell’art. 4 del CTS, oltre al perseguimento delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, lo svolgimento in via esclusiva o principale di una o più attività di interesse generale.

Altro requisito da tenere presente, a nostro avviso, è che si tratti comunque di un ente riconosciuto da confessioni religiose con cui lo Stato ha stipulato patti, accordi, intese, e non di generiche associazioni che si autodefiniscono religiose, ma che spesso sono associazioni culturali, sia pure con alcuni contenuti religiosi. A questo punto, premesso che l’adesione alla riforma non è un obbligo ma un’opportunità, si pone la seguente domanda: nel momento in cui non vi fossero i requisiti per diventare ETS, come gestire eventuali attività non di religione e di culto, ma comunque utili per diffondere lo studio e la pratica del messaggio religioso, e godere delle agevolazioni previste dalla riforma del Terzo settore?

La risposta potrebbe stare nella costituzione, a latere dell’ente religioso, di un soggetto che abbia i requisiti soggettivi e oggettivi per iscriversi al Registro Nazionale del Terzo settore (RUNTS). Circa la tipologia di ente da costituire, anche in rapporto alla sezione del RUNTS cui si pensa di potersi iscrivere, occorrerà porre mente alla finalità, alla struttura, all’organizzazione, ecc., e soprattutto alle attività da esercitare. Sotto il profilo soggettivo, una distinzione fondamentale è quella tra ente di tipo associativo (insieme di persone) e fondazione (insieme di beni). Nell’ipotesi in cui si gestiscano attività economiche rilevanti, la struttura associativa potrebbe rivelarsi non idonea alla gestione e conservazione del patrimonio necessario per la gestione di dette attività.

Nulla vieta, ovviamente, che si possa rinunciare a entrare nel Terzo settore, rimanendo sotto il profilo civilistico un ente religioso, così come previsto dal Codice Civile, e sotto il profilo fiscale un ente non commerciale ai sensi dell’art. 73, c. 1, lett. c) del Tuir, allorché l’attività istituzionale, cioè l’attività religiosa, risulti essere prevalente rispetto a quella commerciale.

Ai sensi dell’art. 144 del Tuir, le due sfere di attività andranno gestite con una contabilità separata e solamente l’attività commerciale sarà rilevante ai fini fiscali, delle imposte dirette e dell’Iva. Si pone, quindi, il problema di una corretta individuazione delle attività commerciali e del regime fiscale applicabile. Così, per esempio, si può segnalare l’art. 148 del Tuir e l’art. 4 D.P.R. 633/1972, che contengono disposizioni particolarmente favorevoli per le associazioni religiose.

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