Consulenza aziendale, commerciale e marketing
29 Settembre 2025
La percezione non è oggettiva ma una costruzione: nelle relazioni colmiamo i vuoti con supposizioni, e spesso cadiamo vittime di aspettative e inganni. Per evitarli servono verifiche, domande chiare e ascolto attivo: ciò che percepiamo non sempre coincide con la realtà.
Probabilmente sarà capitato anche a voi di provare frustrazione nello scoprire che la realtà fosse diversa da come l’avevamo immaginata. Così ci rendiamo conto che un cliente, un collega, un collaboratore o persino un parente è molto diverso da ciò che pensavamo. La domanda che ci assale è: siamo stati ciechi per anni oppure l’altro/a ha saputo recitare meglio di Sophia Loren? La curiosità mi ha spinto a capire perché questi inganni percettivi siano così comuni da lasciarci schiacciati sotto il peso della delusione di noi stessi per non aver colto la verità oggettiva.
Facciamo un gioco: guardate l’immagine nel seguente link.
Cosa vedete? Probabilmente un triangolo. Eppure, non esiste: lo costruisce il cervello, colmando i vuoti, benché lo sfondo bianco non sia delimitato da alcun bordo. La percezione, infatti, non è una fotografia oggettiva, ma una costruzione attiva, in qualche modo, arbitraria. Il nostro sistema cognitivo tende a cercare ordine, completezza e semplicità anche a costo di “inventare” quello che manca. Così come ricostruiamo un triangolo inesistente, nelle relazioni “riempiamo i vuoti”: interpretiamo intenzioni non dette, attribuiamo significati a gesti o silenzi, creiamo storie sugli altri senza dati completi, generando malintesi e soprattutto false aspettative.
Un esempio: un cliente affabile può indurci a lavorare per anni senza ricevere compensi, perché ci concentriamo sulla sua gentilezza trascurando segnali più importanti, come i ritardi nei pagamenti. Allo stesso modo, una persona timida può sembrare sfuggente quando in realtà è solo riservata.
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