Procedure concorsuali

10 Novembre 2020

L’interdizione del socio: dal ricorso alle responsabilità

L’incapacità di intendere e di volere viene espressamente circoscritta dall’ordinamento, che pone rimedi e istituti volti principalmente alla tutela della persona incapace e di tutti i suoi interessi. Essenziale a tale scopo potrebbe essere anche l’istituto dell’amministrazione di sostegno.

Amministrazione di sostegno o interdizione? Questo è il dilemma. I due istituti si contrappongono: uno è “collaborativo” (amministrazione di sostegno) e l’altro “sostitutivo” (interdizione). Tale differenza si riversa sulle capacità del destinatario del provvedimento. I giudici di legittimità hanno chiarito da tempo che la scelta dell’uno o dell’altro istituto non deve essere semplicemente basata sul grado d’infermità o d’impossibilità di badare ai propri interessi del soggetto, ma piuttosto sulla maggiore capacità dello strumento di adeguarsi alle sue esigenze, in relazione alla flessibilità e agilità della procedura applicativa.

Se nel patrimonio del soggetto rientra una partecipazione al capitale sociale di una Spa, il Giudice deve contemperare l’esigenza propria dell’incapace (prevenzione del depauperamento del suo patrimonio) e assicurare la continuazione dell’attività d’impresa, che mai può essere ostacolata. Mentre con l’amministrazione di sostegno si cerca di tutelare le rimanenti capacità del soggetto, con l’interdizione il soggetto perde definitivamente la propria capacità di intendere e di volere: scopo dell’istituto è assicurare adeguata protezione ai soggetti che si trovano in condizioni di abituale infermità, che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi. Due sono gli elementi fondamentali per richiedere l’interdizione:

abituale, e non già continuativa, infermità di mente, grave e attuale: presupposto indefettibile;

– conseguente incapacità di provvedere ai propri bisogni.

La sentenza del Giudice che dichiara l’interdizione affligge qualsiasi negozio posto in essere. L’interdetto non può più concludere nessuna tipologia di affare, patrimoniale e/o personale. Il compimento di atti dopo la pronuncia della sentenza di interdizione è soggetto a annullamento su istanza del tutore, dell’interdetto, dei suoi eredi o degli aventi causa. Alla perdita della capacità di agire consegue l’impossibilità per l’interdetto di porre in essere, quindi, tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. Ciò non significa che la capacità giuridica dell’interdetto sia “congelata”, ma viene spostata e sostituita da quella del tutore, organo fondamentale nell’istituto dell’interdizione. Il Giudice nomina il tutore, il quale pone in essere tutti gli atti e fatti di ordinaria e straordinaria amministrazione volti al perseguimento dell’interesse dell’interdetto.

Il tutore deve preventivamente munirsi di autorizzazione del Giudice tutelare, nel caso in cui voglia procedere alle seguenti operazioni, in nome e per conto dell’interdetto:

– riscuotere capitali;

– consentire la cancellazione di ipoteche o lo svincolo di pegni;

– assumere obbligazioni eccedenti rispetto quelle che riguardano le spese necessarie per il mantenimento dell’interdetto e per l’ordinaria amministrazione del suo patrimonio;

– accettare eredità o rinunciarvi, accettare donazioni o legati soggetti a pesi o a condizioni;

– stipulare contratti di locazione d’immobili oltre il novennio o che in ogni caso si prolunghino oltre un anno dopo il raggiungimento della maggiore età (in caso di minori);

– promuovere giudizi, oltre quelli precedentemente indicati;

– acquistare beni.

Il tutore, ai sensi dell’art. 375 C.C., non può, senza autorizzazione del Tribunale:

– alienare beni, eccettuati i frutti e i mobili soggetti a facile deterioramento;

– costituire pegni o ipoteche;

– procedere a divisioni o promuovere i relativi giudizi;

– stipulare compromessi e transazioni o accettare concordati.

Anche il socio di una società per azioni può essere dichiarato interdetto. Se nessun problema sussiste circa l’acquisto delle azioni, più complessa è la materia che ruota attorno all’interdizione del socio di una società per azioni, con conseguente subentro del tutore. La complessità della materia è dipendente dall’assenza di una specifica disciplina in merito all’espressione del voto in assembla da parte del tutore. Resta comunque a discrezione del tutore richiedere l’autorizzazione nell’eventualità di dubbia fattibilità o nel caso in cui non sia certo che l’uno o l’altro intervento possa arrecare danno al patrimonio dell’interdetto.

In tema di società per azioni si potrebbe originare una particolare serie di responsabilità:

– in capo all’interdetto;

– in capo ai soggetti consapevoli dello status dell’interdicendo, senza con ciò evitare di produrre il fatto.

Qualora l’interdetto ponga in essere atti o fatti idonei a originare un reato penale, non può essere penalmente perseguito proprio a causa dell’infermità. Nel diritto civile, all’opposto, i soggetti sui quali incombe il dovere di cura, sorveglianza ed amministrazione sono responsabili per gli atti e fatti commessi dal soggetto interdetto, che hanno arrecato danno alla sfera altrui.

L’art. 712 c.p.c. stabilisce che la domanda di interdizione deve essere proposta con ricorso diretto al Tribunale del luogo dove la persona nei confronti della quale è proposta, ha la residenza o il domicilio. È necessario ricostruire lo stato di famiglia ed eventualmente l’albero genealogico, per avvisare con raccomandata tutti i potenziali aventi diritto in base al grado di parentela e affinità.

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