Società e contratti

12 Maggio 2025

Parametri di prova della società fraudolentemente interposta

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 24.04.2025, n. 10887, ha chiarito la differenza tra il mero amministratore di fatto e l’amministratore uti dominus che usa in modo fraudolento lo scherma societario.

Per la Corte di Cassazione: “In tema di accertamento sulle imposte dirette e sull’Iva, nei confronti del soggetto che abbia gestito uti dominus una società di capitali, si determina, ai sensi dell’art. 37, c. 3 D.P.R. 600/1972, la traslazione del reddito d’impresa e delle relative imposte, in quanto effettivo possessore del reddito della società interposta. A tali fini incombe sull’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente, spettando quindi al contribuente l’onere di fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto” (Cass. 17.01.2023, n. 1358).

Sotto il profilo sanzionatorio, va sottolineato come la giurisprudenza abbia evidenziato che nell’interposizione del gestore uti dominus alla società di capitali interposta ai sensi del cit. art. 37, c. 3 non ha rilievo il rapporto fiscale proprio di quest’ultima, ma quello che fa capo direttamente all’interponente in quanto effettivo possessore del reddito d’impresa, per cui la fattispecie esula dal disposto di cui all’art. 7 D.L. 269/2003 e le violazioni, pur formalmente dell’ente collettivo, vanno riferite alla sua attività. Tale ultima conclusione può dirsi ormai consolidata, essendo stato affermato il principio secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 D.L. 269/2003, sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando essa sia gestita da un amministratore di fatto. Tuttavia, tale principio non opera nell’ipotesi di società “cartiera”, atteso che, in tal caso, la società è una mera fictio, utilizzata quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio dell’amministratore di fatto, con la conseguenza che viene meno la ratio che giustifica l’applicazione del suddetto art. 7, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito (in tal senso, tra le altre, Cass., sent. 1.04.2024, n. 10651).

Non basta, quindi, che nell’avviso di accertamento venga attribuita a un presunto amministratore di fatto la responsabilità per le imposte e le sanzioni a carico della società, unicamente in ragione della sua sola qualità di amministratore di fatto di quest’ultima, senza indicare gli elementi presuntivi dai quali si ricaverebbe l’utilizzazione della società quale schermo illecitamente costituito per mascherare l’attività commerciale svolta per proprio personale conto dall’amministratore di fatto. Occorre che l’Ufficio dimostri un’ingerenza uti dominus nella società e la chiara manipolazione dello schermo societario piegato a un uso strumentale del tutto diverso rispetto alla sua autentica fisionomia legislativa.

L’insussistenza di validi elementi presuntivi, costitutivi della responsabilità dell’amministratore di fatto, esonera il giudice tributario dall’esame della prova contraria prodotta dal presunto uti dominus e implica la nullità dell’atto impositivo, non fondato su elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. Si deve infatti considerare che il soggetto che assume solo la qualifica di amministratore di fatto di una società senza l’intento fraudolento di declinarne l’uso per intenti criminosi (al pari, ad esempio, di una cartiera) è gravato dell’intero novero dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto, dovendo quindi assolvere ai medesimi obblighi, amministrativi e gestori. L’amministratore di fatto per la Cassazione non può, ad esempio, lamentare la lesione del proprio diritto di difesa per non aver ricevuto personalmente, da parte dell’ente impositore, la notificazione di un atto idoneo all’istaurazione del contraddittorio preventivo, in quanto esso va ritenuto essere comunque a conoscenza di ogni vicenda riguardante la società effettivamente strutturata ed esistente.

Come rilevato in dottrina il possesso del reddito “per interposta persona” costituisce il fatto ignoto oggetto della prova logica a carico dell’Ufficio, quale elemento che lega il reddito prodotto dal soggetto interposto al titolare effettivo. La norma che attribuisce la rilevanza dell’effettivo possesso del reddito in luogo della titolarità formale del medesimo, intende sancire la prevalenza della sostanza (possesso del reddito) sulla forma (titolarità del reddito) e della realtà sull’apparenza, dovendosi individuare non la natura fittizia o ingannevole della titolarità del reddito, bensì l’effettività dell’esercizio del possesso del reddito a prescindere dalla sua formale titolarità.

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