Paghe e contributi
25 Luglio 2025
Esaminiamo la disciplina del patto di non concorrenza analizzando i requisiti di validità, le modalità di corresponsione del corrispettivo e i criteri di delimitazione del vincolo.
Il patto di non concorrenza rappresenta uno strumento contrattuale mediante il quale il datore di lavoro, attraverso la corresponsione di un compenso al dipendente, ottiene l’impegno di quest’ultimo a non esercitare attività concorrenti al termine del rapporto lavorativo. Tale accordo configura un contratto oneroso caratterizzato da prestazioni corrispettive tra le parti.
L’istituto trova la propria disciplina nell’art. 2125 c.c. che stabilisce i requisiti di validità del patto. Anzitutto, è necessaria la forma scritta, senza la quale l’accordo risulta nullo. Il legislatore ha inoltre previsto che il vincolo debba essere limitato sotto 3 profili fondamentali: oggetto, tempo e territorio.
Relativamente ai limiti temporali, la durata massima consentita è di 5 anni per i dirigenti e 3 anni per gli altri lavoratori. Qualora sia pattuita una durata superiore, questa si riduce automaticamente nei termini previsti dalla legge. Il patto può essere stipulato in diversi momenti: al momento dell’assunzione, durante lo svolgimento del rapporto o alla sua cessazione. È importante sottolineare che si tratta di un accordo autonomo e distinto dal contratto di lavoro principale, nonché dall’obbligo di fedeltà ex art. 2105 c.c.
La presenza di un adeguato corrispettivo costituisce requisito essenziale per la validità del patto. Si ricorda che il compenso deve essere parametrato al sacrificio imposto al lavoratore e non può essere meramente simbolico, palesemente iniquo o sproporzionato.
La giurisprudenza ha chiarito che il corrispettivo può essere erogato secondo diverse modalità: in un’unica soluzione al termine del rapporto, a rate mensili durante la vigenza del patto, oppure durante il rapporto stesso insieme alla retribuzione ordinaria. Particolare attenzione merita la questione del corrispettivo “rateizzato” in busta paga. Sul punto si confrontano 2 orientamenti giurisprudenziali. Il primo, più rigoroso ed espresso prevalentemente dalla giurisprudenza di merito (ex pluris Trib. Milano n. 1806/2021; Trib. Treviso n. 67/2020, Trib. Bergamo n. 91/2019), ritiene invalido il patto quando il compenso sia erogato mensilmente, configurandosi come indeterminato e assimilabile a un premio di fedeltà. Il secondo orientamento, più flessibile, non esclude a priori tale modalità di pagamento, purché l’importo sia determinabile su parametri oggettivi e sia prevista una somma minima garantita (ex pluris Cass. nn. 33424/2022 e 23418/2021).
L’oggetto del patto deve essere specificato con precisione, indicando le attività vietate o i datori di lavoro presso cui il dipendente non potrà prestare servizio. Il divieto può estendersi oltre le mansioni effettivamente svolte, purché non comprometta eccessivamente le potenzialità economiche e professionali del lavoratore.
Sotto il profilo territoriale, la delimitazione deve rispettare criteri di ragionevolezza, tenendo conto dell’estensione dell’attività aziendale e del settore merceologico. Un ambito territoriale eccessivamente esteso può comportare la nullità del patto per violazione del diritto del lavoratore a esprimere la propria professionalità (l’evoluzione dei mercati verso dimensioni sempre più globali impone una valutazione particolarmente attenta nella definizione dell’ambito territoriale del vincolo, al fine di evitare limitazioni eccessive per il lavoratore).
Il patto può essere sciolto esclusivamente con il consenso di entrambe le parti e sono nulle le clausole che attribuiscono la facoltà di risoluzione al solo datore di lavoro. In caso di violazione da parte del lavoratore, il datore può richiedere la restituzione del corrispettivo versato, il risarcimento dei danni e avviare procedure d’urgenza per la cessazione immediata dell’attività concorrenziale.
Per i prestatori di lavoro autonomo, l’art. 2596 c.c. prevede invece una disciplina differente: il patto è valido se circoscritto “ad una determinata zona o ad una determinata attività”, e non richiede necessariamente l’indicazione di un corrispettivo specifico. La formula disgiuntiva, secondo l’interpretazione consolidata di dottrina e giurisprudenza, consente che il patto possa essere delimitato alternativamente sotto uno dei due profili indicati dalla norma: settore merceologico o estensione geografica. Sono quindi validi i patti che prevedono limiti di tempo insieme a limiti di attività, oppure limiti di tempo insieme a limiti territoriali, senza dover specificare necessariamente entrambi gli aspetti.