Consulenza aziendale, commerciale e marketing

12 Settembre 2025

Pochi guadagni, tante responsabilità e molto lavoro

Ecco perché sempre meno giovani scelgono di diventare commercialista o consulente del lavoro.

Partiamo dai dati per spiegare un fenomeno che da anni interessa diverse categorie professionali, anche se qui ci concentreremo su commercialisti e consulenti del lavoro: il calo delle iscrizioni e la difficoltà a reperire giovani professionisti e praticanti.

La fotografia del mercato professionale oggi – Tra i commercialisti, il reddito medio dichiarato nel 2024 è arrivato a 80.648 euro, ma il valore mediano si ferma a 45.895 euro. Questo conferma che pochi guadagnano molto sopra la media, mentre la maggior parte sta sotto. Anche se c’è stata una buona crescita annua (+10,1%), il reddito mediano resta basso, segno che i margini sono ancora limitati per tanti. Se guardiamo ai dati Cnpadc per età e genere, si vede un divario netto: gli under 30 guadagnano in media 23.822 euro, la fascia 31-40 anni sale a 48.309 euro. Gli uomini hanno una media di 104.631 euro, le donne 56.334 euro (un gap di circa il 46%). Questo dice molto sulle difficoltà dei primi 10 anni di attività professionale e sull’ingiustificato divario di genere e di area geografica: l’inizio è lento e solo con esperienza, rete di clienti e uno studio strutturato si vedono miglioramenti.

Per i consulenti del lavoro, il reddito medio si attesta intorno a 56.000 euro, con un fatturato Iva medio per persona che arriva a 107.000 euro (dati 2023). Anche qui i numeri crescono, ma la differenza tra chi lavora in forma aggregata (STP, con un reddito medio di circa 143.800 euro) e chi resta individuale (spesso sotto i 41.000 euro) è forte. Per i giovani, spesso collaboratori all’inizio, la salita è lenta e i margini sono stretti.

E poi c’è l’altra domanda: quanto si lavora? Non ci sono dati ufficiali sulle ore settimanali dedicate da commercialisti e consulenti del lavoro, ma secondo Eurostat, gli autonomi con dipendenti in UE lavorano in media circa 46,7 ore a settimana; quelli senza dipendenti 39,9 ore. Sono valori che rispecchiano quanto raccontano gli studi professionali italiani.

Cosa funziona (e cosa no) nei primi 10 anni di attività – Proviamo a sintetizzare in 3 aspetti chiave le ragioni del successo/insuccesso di una carriera professionale:

– la struttura. Lavorare in forma aggregata (STP, studi associati) aumenta redditi e fatturato sia per i consulenti del lavoro che per i commercialisti. Gli studi organizzati vanno meglio degli individuali;

– la crescita troppo lenta. Per i commercialisti, passare dagli oltre 24.000 euro (under 30) ai circa 48.000 (31-40) richiede anni di percorso e di consolidamento clienti. Molti under 35 restano collaboratori a lungo e poi scelgono l’azienda abbandonando la professione;

– troppe normative. Tra i giovani commercialisti, la complessità normativa è la principale minaccia percepita (45%). Sommando anche le responsabilità crescenti e gli obblighi deontologici, l’avvio è poco attrattivo rispetto ad altre carriere, come quelle aziendali.

Se uno studio vuole attrarre giovani talenti deve considerare l’aggregazione professionale e la specializzazione, che non sono parole vuote, ma ciò che oggi davvero può fare la differenza nei redditi nei primi anni di carriera. Chi entra in STP o reti professionali da under 35, riduce i tempi per raggiungere l’autonomia economica.

In secondo luogo, introdurre nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, per automatizzare, semplificare e velocizzare, può essere un buon incentivo anche per i giovani, per i quali la complessità e la lentezza sono i primi motivi di disaffezione verso la professione.

Infine, adottare politiche ESG, avere un codice etico, rimuovere ostacoli alla parità di genere e adottare politiche di well being aiuta sicuramente anche ad allargare la platea di chi potrebbe entrare, fungendo da talent attraction.

Per concludere, alcune precisazioni sui dati forniti: i valori indicati sono redditi professionali (al netto dei costi) dichiarati alle Casse; non coincidono con il fatturato. Enpacl pubblica solo valori medi generali e alcuni indicatori strutturali, ma non fornisce dettagli per età, genere o area come invece fa Cnpadc. Per stimare i redditi degli under 35 tra i consulenti del lavoro ci si basa perciò su dati AdEPP (tutte le casse) e indagini della Fondazione Studi.

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