Diritto privato, commerciale e amministrativo
09 Agosto 2025
Anche un’attività professionale formalmente lecita può sfociare nel reato di associazione per delinquere, qualora deliberatamente inserita in uno schema sistemico a fini illeciti.
La sentenza della Cassazione penale 17.07.2025, n. 26262 porta alla ribalta una tematica alquanto critica, ma sempre attuale. Ci si chiede fino a che punto un professionista possa essere ritenuto penalmente responsabile per attività svolte nell’ambito della sua consulenza, nonostante questi agisca secondo le regole che connotano la propria professione. Secondo la Cassazione, tale rischio appare concreto. Ciò accade quando il contributo del professionista, rispetto alla realizzazione di un illecito di un proprio cliente si rivela non solo consapevole, ma funzionale e strutturale al raggiungimento degli scopi di quella che sia stata individuata come associazione. In detto contesto, il professionista non è più visto come semplice consulente tecnico, ma come parte integrante dell’ingranaggio criminoso, soprattutto se le sue attività si inseriscono in un disegno organizzato e reiterato.
Nella casistica in commento, alcuni commercialisti avevano predisposto un sistema collaudato, almeno in apparenza, al fine di favorire il rientro in Italia di fondi illecitamente detenuti all’estero. In pratica, venivano costituite società estere di comodo e simulate operazioni al fine di ripulire il rientro dei capitali. Si trattava in concreto di una strategia che, non solo integrava una serie di reati tributari, ma era prova della partecipazione a un’associazione criminale ben strutturata.