Accertamento, riscossione e contenzioso

19 Ottobre 2021

Profitto del reato: il discrimine tra utilità diretta e indiretta

Il denaro nella disponibilità del reo non sempre e necessariamente è riconducibile nell'alveo dei proventi che possono essere aggrediti in quanto frutto di condotta penalmente illegittima.

Dopo che è stato commesso un reato tributario, la corretta individuazione del profitto confiscabile rappresenta un tassello importante nell’ambito della procedura ablatoria eventualmente esperibile. Tuttavia, a causa del perimetro piuttosto variabile che attiene alla definizione e individuazione del profitto, ci si può trovare dinnanzi a delle concrete difficoltà che influiscono sulla validità o meno del procedimento stesso.

La confisca tradizionale, atta all’apprensione diretta del profitto da evasione fiscale, è di poca utilità dal punto di vista pratico, poiché il provento dell’evasione è normalmente costituito da un risparmio di spesa e non già meramente da un introito diretto qualificabile puramente come “ricavo”, inteso in senso aziendalistico come utilità economica aggiuntiva. In tal senso, Il concetto di “risparmio di spesa”, come fattore che sia riconducibile alla nozione di profitto tipico, viene individuato ugualmente alla stregua di ricavo effettivo, ovvero come differenza tra accrescimento patrimoniale maturato e quello che si sarebbe ottenuto senza l’indebito risparmio di spesa. Ciò comporta che, ai fini della esperibilità di provvedimenti ablatori destinati alla apprensione di importi da confiscare, si possa comunque procedere per equivalente.

Ad apportare un contributo chiarificatorio in tal senso, è recentemente intervenuta la III Sez. Pen. della Cassazione, con la sentenza 6.10.2021, n. 36215. La vicenda verteva in particolare sulla corretta individuazione del tipo di sequestro esperibile, in relazione somme di denaro depositate su conto corrente nella disponibilità di un soggetto imputato per frode fiscale. In particolare, la Cassazione chiarisce in maniera tanto semplice quanto efficace che, con riferimento alla materia degli illeciti di matrice penale-tributaria ex D.Lgs. 74/2000, ai fini della confisca diretta delle somme sequestrate su un determinato rapporto di conto corrente bancario dell’imputato, la natura fungibile del denaro non rappresenta un elemento di per sé sufficiente a consentire di qualificare l’oggetto del sequestro come “profitto” del reato. Sarebbe necessario provare ulteriormente che la disponibilità di somme di denaro, successivamente sequestrate, costituisca un risparmio di spesa conseguito con il mancato versamento dell’imposta.

In pratica si ritiene che, per accertare se una data somma di denaro costituisca “profitto del reato” tributario, e cioè un risparmio di spesa aggredibile in via diretta, sia necessario avere riguardo non all’identità fisica delle somme, ma al valore numerario espresso dalle predette disponibilità, giacenti sul conto dell’imputato alla scadenza del termine per il versamento dell’imposta. Al contrario, il denaro versato successivamente alla citata scadenza, che fosse stato sequestrato, non può essere ritenuto “profitto” del reato, rappresentando unicamente un’unità di misura equivalente al debito fiscale scaduto e non onorato che, in quanto tale, risulterebbe confiscabile soltanto qualora ricorressero le condizioni e i presupposti per operare non già una confisca diretta, bensì una confisca per equivalente.

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