Imposte dirette
19 Settembre 2025
La Cassazione ribadisce i criteri distintivi tra pubblicità e rappresentanza.
Le spese sostenute da un’impresa per la fornitura gratuita di beni o servizi a potenziali clienti, anche se idonee a generare un ritorno economico indiretto, devono essere qualificate come spese di rappresentanza se finalizzate alla promozione dell’immagine e del prestigio dell’impresa piuttosto che direttamente alla vendita; di conseguenza, queste spese sono deducibili ai limiti e alle condizioni previste dall’art. 108, c. 2 del Tuir e dal relativo decreto attuativo del MEF. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nella sentenza 13.09.2025, n. 25143.
Nel caso esaminato, l’Agenzia delle Entrate riqualificava alcune spese pubblicitarie sostenute da un’impresa (costi relativi a eventi promozionali, fornitura di beni omaggio e sponsorizzazioni finalizzate al rafforzamento della presenza dell’impresa sul mercato e alla fidelizzazione della clientela) come spese di rappresentanza, con conseguente parziale indeducibilità per superamento del plafond previsto dalla normativa. Al contrario, la società sosteneva che si trattasse di spese pubblicitarie vere e proprie e, come tali, interamente deducibili in quanto direttamente correlate all’attività di impresa e dunque caratterizzate da un rapporto sinallagmatico tra spesa e ritorno economico.
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