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28 Maggio 2025

Quiet quitting: la silenziosa rivoluzione nel mondo del lavoro

Il contesto lavorativo sta subendo significative trasformazioni, accompagnate da un intimo mutamento delle priorità individuali.

Un numero crescente di dipendenti ha avviato una riflessione critica sui propri obiettivi esistenziali e sulle aspettative professionali, rivalutando in modo sostanziale il rapporto tra vita personale e dimensione lavorativa. In tale scenario, il work-life balance si configura come un fattore centrale nella riformulazione delle strategie di gestione del tempo e delle risorse, riflettendo una crescente attenzione all’equilibrio tra vita professionale e privata.

Il fenomeno del quiet quitting o licenziamento silenzioso è uno degli effetti di questo nuovo approccio: il lavoratore si limita a svolgere le attività essenziali e strettamente previste dal contratto di lavoro, astenendosi dal dedicare tempo o risorse aggiuntive a compiti che esulano dalle proprie mansioni obbligatorie. Le motivazioni che possono indurre i lavoratori ad adottare comportamenti simili sono molteplici e spesso si intrecciano tra loro, generando un effetto cumulativo. Tra le determinanti principali si segnalano:

– pressione operativa eccessiva. Una gestione delle attività quotidiane non sostenibile e la continua richiesta di performance elevate, prive di adeguati strumenti di supporto o periodi di recupero, risulta soffocante e promuove il disimpegno;

– inadeguatezza della politica retributiva. Un sistema premiante percepito come non equo, non competitivo rispetto al mercato o non commisurato agli sforzi richiesti, costituisce un forte elemento di demotivazione e di propensione al disimpegno;

– obiettivi sproporzionati. La definizione di traguardi poco realistici, o di aspettative manageriali disallineate rispetto alle reali possibilità operative, genera facilmente sentimenti di insoddisfazione e distacco emotivo;

– mancanza di prospettive di evoluzione. L’assenza di percorsi di avanzamento o di opportunità formative limita le ambizioni individuali e riduce la propensione all’iniziativa personale;

– assenza di valorizzazione. La mancanza di riscontri positivi, sia in termini di feedback che di riconoscimenti tangibili per i risultati ottenuti, può minare il senso di autostima professionale;

– clima relazionale problematico. Tensioni, conflitti o carenze comunicative sia nei rapporti verticali che tra pari possono favorire l’insorgere di atteggiamenti di isolamento o scarsa collaborazione;

– alienazione organizzativa. Un indebolimento dell’identificazione con la mission, i valori o la cultura aziendale può tradursi in una minore partecipazione alla vita collettiva e in un progressivo allontanamento dai processi decisionali.

Sebbene il quiet quitting non configuri una forma di cessazione formale del rapporto di lavoro, esso viene frequentemente interpretato come un indicatore di disimpegno latente, potenzialmente prodromico a un successivo abbandono volontario dell’impiego.

Per prevenire il quiet quitting le aziende possono implementare cinque azioni chiave:

– sostenere un sano equilibrio vita-lavoro mediante smart working, orari flessibili e politiche per la salute mentale;

– garantire trattamenti economici attrattivi e sistemi di incentivazione collegati ai risultati, in linea con le dinamiche di mercato e le aspettative professionali;

– promuovere una leadership proattiva, formando i manager a riconoscere precocemente i segnali di disimpegno e a gestirli con empatia e attenzione;

– investire nello sviluppo professionale attraverso formazione e piani di carriera chiari;

– favorire l’identificazione organizzativa attraverso la promozione di una cultura aziendale inclusiva e la realizzazione di iniziative che rafforzino la coesione tra i collaboratori.

Solo un’organizzazione capace di valorizzare persone, equilibrio e senso di appartenenza può prevenire davvero il quiet quitting. In un contesto in rapida evoluzione, il coinvolgimento autentico è la chiave della sostenibilità aziendale.

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