Accertamento, riscossione e contenzioso
11 Luglio 2025
Se la giustizia tributaria inverte il peso della prova, il contribuente rischia di restare senza voce e senza difese.
La sentenza della Cassazione n. 2950/2025, che affronta nuovamente il tema dell’accertamento sintetico ex art. 38 D.P.R. 600/1973, conferma un’impostazione che merita una riflessione critica profonda.
Secondo la Suprema Corte, la mera esistenza di determinati “indici di capacità contributiva” basta a fondare una presunzione legale a favore dell’Amministrazione Finanziaria, la quale non è tenuta a fornire ulteriori elementi a supporto del proprio accertamento.
Tutto il peso si sposta sul contribuente, che viene chiamato a dimostrare, documentalmente e con precisione assoluta, che quel reddito non esiste, o esiste in misura inferiore.
Ma è proprio questa dinamica, apparentemente efficiente, a generare uno squilibrio che, sul piano logico prima ancora che giuridico, risulta difficilmente sostenibile e le ragioni di tale assunto sono agevolmente percepibili.
In primis, perché si confonde la presunzione semplice con quella legale. Una cosa è presumere, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, l’esistenza di un reddito occultato e ben altra cosa è costruire un automatismo giuridico in base al quale il solo possesso di un bene (un immobile, un’auto, un’imbarcazione) equivale ipso facto a una capacità reddituale da accertare.