Accertamento, riscossione e contenzioso

22 Marzo 2024

Riforma fiscale, ma non per le sanzioni…

Il termine corretto è “revisione”, anche perché la rubrica dell’art. 20 della legge delega è chiarissima: “Principi  e  criteri  direttivi  per   la   revisione   del   sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale”.

Se è lecito auspicare che i progetti legislativi che incideranno sul futuro rapporto tra Fisco e contribuenti onesti (meglio precisarlo …) siano modulati su un piano di maggiore equilibrio fra le parti, la realtà fattuale pone di fronte anche a evidenze che raccontano quanto sia complesso realizzare le linee guida e i principi che dovrebbero caratterizzare i decreti attuativi della L. 9.08.2023, n. 111. Occorre ricordare, anzitutto, che la riforma/revisione deve avvenire a invarianza di gettito: lo stabilisce inequivocabilmente l’art. 22 della stessa legge delega, ove si stabilisce che “… dall’attuazione delle deleghe di cui agli articoli da 1 a 21 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica né incremento della pressione tributaria rispetto a quella risultante dall’applicazione della legislazione vigente”.

Insomma, tutto deve essere temperato alla luce dei rigidi (almeno sulla carta) parametri del bilancio dello Stato. Non fanno eccezione neppure le riformulate regole in tema di sanzioni amministrative, con l’espressa previsione che, proprio per evitare impatti eccessivi sui conti pubblici, esse non saranno applicabili retroattivamente. Ciò significa che, a parità di violazione, un contribuente che abbia subito un accertamento prima dell’entrata in vigore delle nuove norme sarà penalizzato significativamente rispetto a chi, invece, dovrà confrontarsi con il medesimo accertamento in futuro. Dura lex, sed lex, recita il brocardo latino.

Non solo. Il decreto (ancora non definitivo) poteva meglio razionalizzare la disciplina del recupero dei crediti d’imposta, con una più appropriata definizione del concetto di “inesistenza” e di “non spettanza”,traendo spunto dalla giurisprudenza della Cassazione (Sezioni Unite Civili, sentenze nn. 34419/2023 e 34452/2023) che ha confermato un principio già espresso in altre sedi, ossia il discrimine rappresentato, ai fini della corretta qualificazione del credito come “inesistente”, dalla sussistenza congiunta dei seguenti requisiti:

  • il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione o è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo;
  • l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli automatizzati.

Tale principio non è stato recepito o, meglio, se ne è tenuto conto solo in parte. A ben vedere, infatti, l’art. 1, c. 1, lett. a) del decreto interviene sulle definizioni, in attuazione del criterio di delega che chiede di “introdurre, in conformità agli orientamenti giurisprudenziali, una più rigorosa distinzione normativa anche sanzionatoria tra le fattispecie di compensazione indebita di crediti di imposta non spettanti e inesistenti”, ma lo fa in maniera non del tutto condivisibile.

Si precisa, infatti, che sono qualificabili come inesistenti quelli per i quali difettano, in tutto o in parte, i presupposti costitutivi, mentre sono da ritenersi crediti non spettanti quelli (assai banalmente …) diversi dagli inesistenti, ossia fondati su fatti reali non rientranti nella disciplina attributiva per il difetto di specifici elementi o particolari qualità, oltre che utilizzati in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi ovvero, per la relativa eccedenza, fruiti in misura superiore a quella prevista. Sono esclusi dalla definizione di “non spettanza” i crediti per i quali difettino adempimenti amministrativi di carattere strumentale, sempre che non siano previsti a pena di decadenza.

In definitiva, come si legge nella relazione illustrativa, “viene reso esplicito il rapporto di sussidiarietà tra le due fattispecie, occorrendo prendere abbrivio da quella dei ‘crediti inesistenti’, rispetto alla quale assume rilievo dirimente la verifica – per effetto di attività meramente ricognitive – degli elementi che nell’economia della specifica normativa di riferimento assurgono alla dignità giuridica di ‘presupposti costitutivi’. Solo all’esito, una volta esclusa la sussumibilità nella categoria dei crediti inesistenti per effetto dell’immediato riscontro dei relativi presupposti costitutivi, dovrà essere esplorato il distinto e residuale profilo della ‘spettanza’ connesso ai profili per i quali residuino margini di apprezzamento valutativo”.

Inoltre (nuovo art. 10-quater, c. 2-bis D.Lgs. 74/2000), si prevede la non punibilità del reato quando “anche per la natura tecnica delle valutazioni, sussistono condizioni di obbiettiva incertezza in ordine agli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito”.

Si poteva e si doveva fare di più e di meglio? Non è un azzardo pensarlo né difficile da realizzare, soprattutto riflettendo sulle possibili implicazioni penali connesse a una “impropria” qualificazione del credito.

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