Imposte dirette
31 Luglio 2025
La rinuncia ai dividendi da parte di persona fisica non imprenditore secondo l’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 182/2025.
Nella risposta all’interpello n. 182/2025, una società di capitali presenta istanza per ottenere chiarimenti in merito al trattamento fiscale della rinuncia alla percezione dei dividendi da parte dei propri soci (persone fisiche non esercenti attività di impresa).
Nel caso trattato la società ha deliberato la distribuzione di riserve di utili che sono stati solo in parte pagati ad estinzione parziale di un debito verso gli stessi soci e con un residuo ancora da distribuire. Quindi, in sintesi, residuano utili la cui distribuzione è già deliberata ma il pagamento non è ancora avvenuto.
I soci, successivamente, hanno rinunciato al loro credito per dividendi. La questione verte sulle conseguenze fiscali per la società a seguito della rinuncia e sull’eventuale applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 88, c. 4-bis del Tuir in tema di sopravvenienze attive. La norma suddetta prevede che la rinuncia dei soci ai crediti vantati verso la società si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale, che il socio può comunicare con il rilascio di apposita dichiarazione sostitutiva, in difetto della quale il valore del credito si assume pari a zero.
L’Agenzia delle Entrate ricorda che la risoluzione 13.10.2017, n. 124/E ha chiarito che, nel caso di rinuncia di crediti da parte di soci persone fisiche (non imprenditori), non si ravvisa alcuna differenza tra il valore fiscale ed il valore nominale dei crediti stessi. Pertanto, in tali casi, non occorre la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà richiamata dal citato c. 4-bis e la società non dovrà tassare alcuna sopravvenienza attiva. L’elemento dirimente risulta essere proprio la qualifica dei soci persone fisiche che detengono la partecipazione non in regime di impresa, per cui in simili casi, dall’eventuale rinuncia del credito, non si configura alcuna possibile distorsione dovuta ad un eventuale disallineamento tra valore fiscale e valore nominale del credito, ravvisabile soltanto in presenza di partecipazioni detenute in regime di impresa.
Nel caso in esame non è quindi applicabile il principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 16595/2023 in quanto riferita al caso della rinuncia ad un credito derivante da un finanziamento tra la società ed una sua consociata. Dopo aver dichiarato la non configurabilità della sopravvenienza attiva, tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ritiene che, considerato che i dividendi oggetto di rinuncia sono stati deliberati dall’assemblea e che da tale delibera è sorto il diritto di credito dei soci alla distribuzione, detti dividendi sono da assoggettare a ritenuta a titolo di imposta del 26%, ai sensi dell’art. 27 D.P.R. 600/1972, ritenendosi giuridicamente incassati.
La stessa posizione è stata assunta anche con la risposta n. 59/2025. Il tema del c.d. incasso giuridico è ancora oggetto di discussione, considerato che tale concetto, espresso ormai più volte dall’Agenzia delle Entrate, è stato contrastato da numerosi giudici di merito perché, in primo luogo, non trova alcun fondamento giuridico e, in secondo luogo, è del tutto illogico perché non genera alcun “salto” di imposta, non essendovi alcuna deduzione fiscale “a monte” da parte della società (cfr. Cass. 2057/2020 e Norma AIDC 201/2018). La Corte di cassazione ha infine ritenuto privo di fondamento il concetto di “incasso giuridico” successivamente al periodo d’imposta 2015 (Cass. 16595/2023).