Amministrazione del personale

01 Settembre 2025

Se non posso avere uno psicologo reclutatore, vado dal barista

La scarsa attrattiva per la libera professione ci porta ad accogliere nello studio “chi capita”, tralasciando di svolgere un’adeguata procedura di reclutamento del personale. Ecco un semplice sistema per individuare il carattere del nostro candidato collaboratore, per evitare di assumere la persona sbagliata.

Oggi ci sono più persone spinte dalla vocazione che scelgono di entrare in seminario rispetto ai giovani professionisti che decidono di intraprendere la libera professione di commercialista o consulente del lavoro. Credo che anche per gli avvocati la situazione non sia tra le più floride. Sono pochissimi gli Ordini che riescono ancora a organizzare corsi di preparazione all’esame di abilitazione: percorsi un tempo gremiti di nuove leve sono oggi sempre più vuoti, come gli studi professionali. Quali sono le conseguenze?

Spesso nei nostri uffici i processi di selezione si azzerano e si finisce per accogliere “ciò che passa il convento”: il parente più prossimo, la persona segnalata da un cliente o, peggio ancora, dall’imprenditore assistito dal collega, lasciandoci con il dubbio mistico del “perché proprio a noi?”. Che fare, allora, se non si intravede una via d’uscita? In primo luogo, non me la sento di colpevolizzare i ragazzi. Oggi le attrattive della libera professione sono ridotte al minimo. Stare a metà strada tra un cliente intransigente e un fisco esigente non è certo allettante.

Se questo è il problema, dobbiamo concentrarci sulla soluzione, consapevoli che una questione complessa richiede una risposta articolata. Il sistema competitivo attuale pretende eccellenza e qualità professionale: non ammette deroghe. Occorre costruire una struttura organizzativa solida a partire proprio dai collaboratori, che in fondo si trovano in trincea, in prima linea, sotto il fuoco nemico. Dobbiamo adottare la stessa logica di chi pianta un albero: scegliere il terreno ideale, il clima favorevole, e continuare a innaffiarlo finché le radici non si consolidano. E le radici, nel nostro caso, si chiamano “processo di selezione”.

I dipendenti non sono costi sommersi ma risorse e come tali richiedono un investimento. Se il budget lo consente senza compromettere la liquidità, affidiamoci a psicologi del lavoro: il nostro intuito o l’esperienza, da soli, non solo sono inadeguati, ma possono diventare dannosi. Se, invece, delegare a degli specialisti ci fa venire l’orticaria, allora prestiamo la massima attenzione all’iter di assunzione. Innanzitutto, evitiamo l’errore di trasformare il colloquio in un’occasione autocelebrativa. Parlare solo dei successi e tacere sugli insuccessi rischia di renderci ridicoli.

Le nostre fatiche e i sacrifici per arrivare dove siamo non interessano. Siamo prudenti e non facciamo promesse che non possiamo mantenere, non solo sul piano retributivo. Diciamo sempre la verità, tutta la verità, come se fossimo sotto giuramento. Spieghiamo chiaramente che in certi periodi di picco sarà necessario fermarsi oltre l’orario normale. Non alimentiamo aspettative irrealistiche: se per noi l’ottimismo è “il profumo della vita”, per chi deve costruirsi un futuro solido può trasformarsi in una trappola.

Non monopolizziamo la conversazione. Non illudiamoli, lasciamoli parlare: solo così potranno raccontarci aspettative, aspirazioni, sogni ed esigenze. Evitiamo il tono patetico del capo e di assumere il ruolo del professore con domande tecniche per verificarne la preparazione: per imparare ci sarà tempo. Concentriamoci invece sul carattere e sul senso etico della professione, perché lavorare in un contesto relazionale sano è imprescindibile.

A questo proposito suggerisco la mia tecnica del barista. Funziona così: portiamo il candidato a fare colazione nel bar di un nostro amico, che sarà stato preventivamente istruito a creare un piccolo disservizio volontario (rovesciare un caffè sul tavolo, aggiungere zucchero non richiesto, servire un caffè d’orzo al posto dell’espresso). Osserviamo come il candidato reagisce. La sua risposta dirà molto sul suo carattere, perché un giorno, al posto del barista, potremmo esserci noi.

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