Diritto del lavoro e legislazione sociale
27 Giugno 2025
Lo stress lavoro-correlato incide sulla salute e sulla performance. L’articolo distingue eustress e distress, analizza sintomi e fattori di rischio e propone strategie individuali e organizzative, con focus su soft skills e relazioni professionali.
Lo stress lavoro-correlato non è più solo un fenomeno individuale, ma una questione strategica che riguarda la sostenibilità organizzativa. La crescente complessità dei compiti, l’ibridazione degli spazi di lavoro e l’erosione dei confini vita-lavoro rendono lo stress una variabile trasversale, capace di compromettere salute, motivazione e clima interno.
È per questo che il D.Lgs. 81/2008 ne impone la valutazione nei DVR aziendali, e l’Accordo Quadro Europeo del 2004 invita le imprese a identificarne precocemente i segnali.
Fondamentale è distinguere tra eustress e distress. Il primo è uno stress “buono”, che stimola apprendimento e adattamento, presente nelle fasi di sfida e crescita. Il secondo è disfunzionale, cronico, e nasce quando le richieste ambientali superano le risorse individuali. Il distress genera esaurimento, conflitti e calo della performance. Spesso si mimetizza sotto forme insidiose come l’iperattivismo inefficace, l’overperforming o il controllo eccessivo, che talvolta vengono persino valorizzati dalle stesse organizzazioni.
I sintomi dello stress si manifestano su 3 livelli. Fisicamente con cefalea, insonnia, ipertensione, disturbi gastrointestinali e tensioni muscolari. Emotivamente, attraverso ansia, demotivazione, apatia, calo dell’attenzione e memoria. Comportamentalmente, in forme come assenteismo, presenteismo, isolamento o conflitti crescenti. Se ignorati, questi segnali sfociano in patologie relazionali complesse, come burnout e mobbing, sintomi di un malessere sistemico.
L’intervento non può limitarsi all’individuo. Serve una risposta multilivello. Sul piano personale, strategie di coping consapevoli (gestione del tempo, tecniche di rilassamento, attività fisica, supporto sociale) possono riequilibrare il carico psicofisico. Ma è sul piano organizzativo che si gioca la partita: chiarezza dei ruoli, leadership empatica, spazi di ascolto, welfare sostenibile e monitoraggio continuo dello stress percepito sono leve fondamentali per un ambiente di lavoro generativo.
In questo contesto, le soft skills non sono accessorie, ma protettive. Intelligenza emotiva, comunicazione efficace, gestione dei conflitti, resilienza, assertività: sono competenze che aiutano a gestire l’incertezza, favorire la coesione e prevenire l’escalation del distress. Le relazioni, poi, rappresentano il vero ammortizzatore emotivo. Dove esiste fiducia reciproca, lo stress diventa condivisibile e affrontabile. Dove regna l’isolamento, diventa veleno silenzioso.
Parlare di stress significa, oggi, parlare di cultura del lavoro. Non basta intervenire sui sintomi, occorre agire sulle cause. Il benessere va integrato nella strategia aziendale, non trattato come un benefit accessorio. Solo così si può trasformare lo stress da fattore disgregante a leva evolutiva. Perché non c’è cura senza consapevolezza. E non c’è salute organizzativa senza cultura della relazione.