Società e contratti

11 Ottobre 2025

Utili ai soci: quando la presunzione fiscale diventa abuso

Spezzare gli automatismi per restituire alla giustizia tributaria la logica dei fatti.

Capita spesso che, nelle società a ristretta base partecipativa, l’Amministrazione Finanziaria dia per scontato che ogni “buco” contabile sia un utile occulto finito nelle tasche dei soci: siamo al cospetto di un’evidente scorciatoia accertativa che seduce per semplicità, ma rischia di travolgere la realtà dei fatti.

A tal proposito si osserva come la Cassazione abbia rammentato (ord. n. 25681/2025) che la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili è e resta una presunzione semplice, non un pilota automatico e, ponendo una complessa riflessione in ordine al fatto che una presunzione, può orientare l’indagine erariale e non sostituisce la prova. Ma quale è il senso concreto di tale asserzione?

Non bastano un delta contabile, una differenza fra fatture, o un margine “sospetto” per concludere che i soci si siano spartiti qualcosa, ma è necessaria la presenza di una catena logica e documentale che attesti come quel maggior reddito si è formato in capo alla società, quando e attraverso quali canali sarebbe rientrato ai soci e quali indizi gravi, precisi e concordanti avvalorano in tal senso la narrazione argomentativa della contestazione dell’Ufficio. Senza questo lavoro, la presunzione diventa una scorciatoia che calpesta l’art. 53 Cost., secondo cui si tassa la capacità contributiva effettiva, non quella “immaginata”.

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