Diritto del lavoro e legislazione sociale
02 Maggio 2025
Il licenziamento della dipendente accusata di appropriarsi della merce non è però valido se manca la prova di una corretta informazione sul loro uso. Respinto il ricorso del datore di lavoro.
Con l’ordinanza 24.04.2025, n. 10822 la Corte di Cassazione ha posto un nuovo, significativo paletto in materia di controlli tecnologici nei luoghi di lavoro e utilizzo delle prove acquisite mediante impianti audiovisivi. Il caso, riguardante una nota casa di moda italiana, si è concluso con la conferma dell’illegittimità del licenziamento di una dipendente, accusata di sottrazione di beni aziendali, sulla base di immagini video ottenute in violazione della normativa vigente.
La Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’azienda datrice di lavoro, sottolineando l’irregolarità delle modalità con cui sono state acquisite le riprese video. Secondo i giudici, per derogare alle garanzie previste dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (norma che disciplina l’installazione e l’uso di strumenti audiovisivi nei luoghi di lavoro) non è sufficiente il semplice sospetto soggettivo: è invece richiesto un “fondato sospetto” di illecito, sostenuto da elementi concreti e documentabili.
La vicenda trae origine da una controversia approdata dinanzi alla Corte d’Appello di Milano, che aveva già riconosciuto la nullità del licenziamento, ordinando la reintegra della lavoratrice e il pagamento di un’indennità risarcitoria, oltre a interessi e spese di lite. La Corte territoriale aveva ritenuto che le prove a carico della dipendente fossero state acquisite in violazione delle norme sulla privacy e sulla trasparenza nei controlli aziendali. In particolare, le immagini degli impianti di sorveglianza non risultavano precedute da un’adeguata informativa ai dipendenti, come previsto dal D.Lgs. 196/2003 (Codice della privacy).