Diritto del lavoro e legislazione sociale

04 Maggio 2024

Abiti scintillanti, lavoranti in nero

Dietro lo sfavillio dell’alta moda un mondo oscuro di sfruttamento e illegalità.

Lo scorso 24.04.2024 si è celebrato in varie località del pianeta il decimo anniversario della “Fashion Revolution Week”, una comunità globale nata per ricordare l’immane tragedia occorsa in Bangladesh il 24.04.2013 in cui perirono 1.138 persone (in gran parte giovani operaie) a seguito del crollo di un enorme edificio che ospitava 5 fabbriche di abbigliamento. L’organizzazione si prefigge di rendere sicura, equa, sostenibile e trasparente un’industria della moda sempre più caratterizzata da un altissimo tasso di sfruttamento e illegalità.

A destare il maggior allarme sul piano sociale e ambientale è la cosiddetta Fast Fashion, un segmento dell’abbigliamento che realizza capi di bassa qualità a prezzi ridottissimi, grazie a metodi produttivi che comprimono i diritti dei lavoratori, calpestano le più elementari norme di igiene e sicurezza, utilizzano sostanze nocive e inquinanti.

Secondo una Commissione economica operante presso le Nazioni Unite, il settore è responsabile del 20% dello spreco di acqua e del 10% delle emissioni di anidride carbonica su scala mondiale e genera per sovrapproduzione una notevolissima quantità (quasi 100 milioni di tonnellate) di rifiuti tessili sintetici che devono essere ogni anno smaltiti o inceneriti, con conseguenze sul piano ecologico facilmente immaginabili.

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