Società e contratti

06 Agosto 2021

Base societaria ristretta e strategie difensive del contribuente

La consistenza dell'onere probatorio del socio che non si voglia vedere attribuita una quota degli utili non contabilizzati della società a volte risulta estremamente pressante in termini di difesa.

Con un recente intervento (ordinanza 22.07.2021, n. 20988) la Cassazione ritorna su una questione sempre estremamente attuale ed altrettanto controversa, vertente sulla presunzione di distribuzione di utili nelle società con una ristretta “compagine societaria. Nello specifico, gli Ermellini ribadiscono come, al cospetto di una società di capitali avente una base azionaria piuttosto ridotta (di solo 2 soci), la contestazione di utili non contabilizzati in capo al citato ente societario legittimerebbe pur sempre la presunzione di attribuzione “pro quota” ai soci degli utili stessi, incombendo di conseguenza su questi ultimi un pressante onere probatorio rispetto alla dimostrazione del fatto che gli stessi non li avrebbero in realtà percepiti, od anche semplicemente che gli stessi risultavano comunque accantonati o reinvestiti in ambito societario.

Si tratta di una vicenda estremamente paradigmatica e di estremo interesse con riferimento al settore che vede coinvolte le società con una esigua base societaria, sovente soggetta a una diffusa metodologia di accertamento che vede addebitare ai soci il carico impositivo nascosto dalla società.

L’importanza della tematica si rileva in ordine al fatto che la fattispecie risulta estremamente diffusa nella prassi operativa delle Entrate. Tuttavia, si rileva criticamente come una tale forma di presunzione non corrisponda in realtà ad alcuna regola avente una matrice di carattere legale, non sussistendo alcuna norma che prescriva un’automatica imputazione di utili non dichiarati in capo ai soci di società di capitali, a differenza di ciò che avviene nella tassazione per trasparenza che connota le società di persone.

In concreto, quindi, può affermarsi che la prova di distribuzione di cui trattasi sembrerebbe ancorata al dispositivo dell’art. 2697 C.C.: ciò comporta che si è al cospetto di una presunzione semplice fruita ed a tratti abusata dalle Entrate.

L’argomento offre un importante spunto di riflessione sulle istanze difensive eventualmente proponibili dal contribuente interessato a un tale intervento accertativo, fondato pur sempre su “presunzioni semplici”.

Si consideri che le possibilità difensive del contribuente appaiono sicuramente più ampie in ipotesi di presunzioni semplici, in quanto in termini di giudizio occorre una approfondita verifica rispetto alla ragionevolezza del ragionamento che sostiene eventuali contestazioni.

Risulta quindi estremamente improprio parlare come nella vicenda in commento di “prova contraria” del contribuente, sia nel senso che essa non costituisce oggetto di un onere, sia nel senso che a volte essa non rappresenterebbe neanche una prova, bensì unicamente un’argomentazione che può essere proposta dal contribuente per contrastare le asserzioni del Fisco.

Al cospetto di una ricostruzione fondata su una presunzione semplice il contribuente potrebbe quindi agire con le seguenti metodiche che in sequenza possono essere presentate come segue:

  • in primo luogo, potrebbe contestare la valenza del ragionamento stante alla base dell’accertamento;
  • in seconda luogo, potrebbe attestare la mancanza dei fattori stanti alla base del processo conoscitivo addotto dall’Organo di controllo;
  • in ultimo, potrebbe apprestarsi a fornire degli elementi conoscitivi che facciano apparire incompatibile il risultato dell’accertamento, con quanto plausibilmente riscontrabile nella realtà.

Si rammenta che trattasi di inferenze presuntive: la prova va condotta da chi attesta una determinata conclusione che, nel caso in specie, concerne una contestazione di carattere tributario.

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