Società e contratti

07 Ottobre 2021

Peculiarità del modello della società tra avvocati

Un’alternativa allo studio associato quale forma di aggregazione tra professionisti (e non professionisti) per nuovi sbocchi professionali.

Il 29.08.2017, con l’entrata in vigore della legge sulla concorrenza (L.124/2017), è stato inserito l’art. 4-bis alla L. 247/2012, sulla disciplina della professione forense in forma societaria. Ciò ha portato modifiche alla farraginosa (quindi, poco applicata) normativa istituita con D.Lgs. 96/2001. La prima grande differenza tra la società tra avvocati del D.Lgs. 96/2001, rispetto a quella della Legge sulla concorrenza, è la forma societaria: mentre nel D.Lgs. 96/2001 si parlava di una società professionale che aveva la sua matrice nella Snc, ora invece si riferisce a una società che può essere indifferentemente di persone, di capitali, oppure una cooperativa, così come, del resto, è previsto dalla L. 183/2011, istitutiva delle società tra professionisti (Stp) diverse da quelle tra avvocati.

A onor del vero, è intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite che, con la sentenza n.19282/2018 ha sancito che dal 1.01.2018 l’esercizio in forma associata della professione forense è regolato dall’art.4-bis, L. 247/2012, in sostituzione della previgente disciplina contenuta dagli artt. 16 e seguenti, D.Lgs. 96/2001.

Questa è una soluzione cui hanno prestato attenzione (e la presteranno ancora in futuro) i grandi studi legali internazionali operanti in Italia, poiché con tale norma hanno acquisito il beneficio della responsabilità limitata dei soci e di una governance dello studio più snella, con modalità dettate dalle case-madri per lo più basate in Inghilterra, Stati Uniti e Germania, diverse da quella tradizionale italiana (consiglio di amministrazione con funzioni di gestione e collegio sindacale con funzioni di controllo).

Per le società tra avvocati viene prevista, al nuovo art. 4-bis, c. 1, L. 247/2012, l’iscrizione in un’apposita sezione speciale dell’Albo tenuto dall’Ordine forense territoriale nella cui circoscrizione ha sede la società. La società tra avvocati è tenuta anche all’iscrizione alla sezione speciale relativa alle Stp del Registro delle Imprese.

A differenza di quanto disposto dal D.Lgs. 96/2001 e dalla L.247/2012, l’art. 4-bis, c. 2 prevede l’apertura alla compagine sociale di ulteriori soggetti non avvocati, professionisti oppure non professionisti; dall’altro lato, viene prevista una peculiare multi-disciplinarietà. In caso di violazione di tale norma, la società si scioglie:

  • l’unica categoria essenziale è quella dei soci avvocati, risultando meramente eventuali quelle degli altri soggetti professionisti e non;
  • i soci non professionisti, qualunque sia il numero e il tipo societario adottato per la società, possono raggiungere al massimo fino a 1/3 del capitale sociale e dei diritti di voto;
  • in mancanza di altri professionisti, gli avvocati devono detenere almeno i 2/3 del capitale sociale e dei diritti di voto;
  • fermo restando tale rapporto, in presenza di ulteriori professionisti non sono previste soglie minime di partecipazione degli avvocati o di ripartizione della percentuale.

Pertanto, la mancanza di un grado minimo di partecipazione degli avvocati, rispetto agli altri indistinti soci professionisti, porta ad una potenziale conseguenza che, fermo restando il limite congiunto dei 2/3, gli avvocati potranno, al limite, essere anche solo uno e per una proporzione anche irrisoria, numerica, del capitale sociale e dei diritti di voto.

Per quanto riguarda i conferimenti, va escluso che debbano necessariamente consistere in apporti d’opera. Nulla impedisce che i soci professionisti sottoscrivano quote di capitale sociale anche solo in denaro o in natura (qualora lo preferiscano), gestendo i propri apporti professionali secondo altre forme, tra cui accordi o patti parasociali. Tra i conferimenti non pecuniari, è solito riscontrare quello del proprio studio professionale e dunque dell’attività sino a tale momento svolta, con specifico riferimento, oltre ai beni strumentali di cui è dotato, al delicato profilo del suo avviamento e in particolare della clientela che si è acquisita nel tempo.

Un’altra particolare forma di conferimento potrebbe essere costituita dal solo “nome” dello studio, in particolare se datato o, comunque, per ragioni economiche, di prestigio o anche solo affettive, dotato quindi di ineluttabile valore. Le lettere b) e c) dell’art. 4-bis, c. 2, prescrivono che:

  • l’organo di gestione può essere composto solo da soci;
  • ai soci avvocati è destinata la maggioranza dei componenti;
  • i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori.

Con l’introduzione della legge sulla concorrenza, non vi è più alcun dubbio sulla categoria reddituale dei proventi conseguiti da tale tipo societario, in quanto il riferimento a società di persone, società di capitali e cooperative legittima l’inquadramento, ai fini fiscali, secondo le regole dei redditi d’impresa, determinati sulla base delle relative disposizioni, da qualunque fonte essi provengano. Con la risoluzione 7.05.2018, n. 35/E, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che, in assenza di una precisa norma, l’esercizio della professione forense in forma societaria costituisce attività d’impresa, in quanto risultante determinante il fatto di operare in una veste giuridica societaria, piuttosto dello svolgimento di un’attività professionale.

Qualora la società tra avvocati adotti il modello societario della società di capitali, il reddito prodotto viene tassato in capo alla società quale reddito d’impresa e sarà tassato in capo ai soci, in caso di distribuzione degli utili ex art. 44, c. 1, lett. e) del Tuir.

Invece, se il modello societario è la società di persone, secondo l’art. 5 del Tuir, i redditi della società saranno imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili.

Si precisa che, essendo il reddito qualificato d’impresa, non deve essere applicata la ritenuta d’acconto di cui all’art. 25 D.P.R. 600/1973 (risposta dell’Agenzia delle Entrate all’interpello 9.05.2014, n. 954/64127).

Nell’eventualità in cui un socio rivesta anche la qualifica di amministratore della società, i proventi saranno assimilati al lavoro dipendente (art. 50, c. 1, lett. c-bis Tuir).

La Sta rappresenta, dunque, un’alternativa all’esercizio dell’attività professionale individualmente, con potenziali nuovi sbocchi, in sinergia con altre tipologie di talenti.

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