Diritto del lavoro e legislazione sociale
24 Settembre 2025
La Suprema Corte, con ordinanza 17.09.2025, n. 25525, ha stabilito che il buono pasto spetta al lavoratore quando il turno supera le 6 ore, a prescindere dalle regole interne dell’ente.
La vicenda riguarda un gruppo di infermieri turnisti che avevano chiesto il riconoscimento del diritto al servizio mensa o, in alternativa, ai buoni pasto. Il regolamento aziendale limitava il beneficio al personale con rientro pomeridiano, escludendo chi svolgeva turni continuativi.
Dopo il ricorso e la sentenza favorevole della Corte d’Appello, l’ente datore di lavoro si era rivolto alla Cassazione. Con l’ordinanza 17.09.2025, n. 25525 la Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando che il diritto al buono pasto scatta per ogni turno superiore a 6 ore, indipendentemente dalla struttura organizzativa interna.
Centralità della durata del turno – I giudici hanno chiarito che il diritto nasce dal superamento delle 6 ore giornaliere, soglia che impone per legge una pausa destinata anche alla consumazione del pasto. La natura del turno, ordinario o continuativo, non altera questo presupposto. La Cassazione ha richiamato precedenti recenti che hanno valorizzato il criterio oggettivo della durata, legandolo direttamente alla tutela del benessere psicofisico del lavoratore. La funzione assistenziale dei buoni pasto, infatti, è distinta dalla retribuzione: il beneficio non rientra nella base imponibile previdenziale, ma resta un diritto contrattuale in presenza dei requisiti fissati dalle norme e dal contratto collettivo.
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