Accertamento, riscossione e contenzioso

18 Giugno 2020

Cambio di destinazione d'uso come indizio di attività d'impresa

Il soggetto persona fisica (privato) che varia la destinazione d'uso dell'immobile procedendo alla successiva vendita, determina un'attività d'impresa con tutte le implicazioni e gli adempimenti conseguenti.

In un periodo così affollato di normativa dettata dalla pandemia Covid-19, con lo studio professionale assorbito da una miriade di adempimenti, tra cui approntare le domande di contributo a fondo perduto a supporto delle imprese in profonda crisi economica, occorre porre comunque attenzione alla risposta dell’Agenzia delle Entrate all’interpello n. 152/2020. Il quesito posto dal contribuente riguarda un soggetto privato, proprietario di un immobile C/2, in previsione di trasformarlo in 3 abitazioni aventi categoria catastale A/3. L’attività svolta dall’istante consiste nella mera richiesta delle dovute autorizzazioni edilizie/urbanistiche agli uffici competenti; una volta ottenute, intende vendere le 3 abitazioni ottenute, pattuendo contrattualmente che i lavori di ristrutturazione e di risanamento conservativo rimangano a totale carico degli acquirenti delle abitazioni, risultanti dopo gli interventi edilizi.

Nella soluzione prospettata dal soggetto istante non si configura una plusvalenza di cui all’art. 67, c. 1, lett. b) del TUIR, poiché l’immobile C/2, oggetto della variazione di destinazione d’uso, è pervenuto per successione; pertanto, i proventi conseguiti non sono soggetti a tassazione ai fini tributari. Inoltre, il soggetto istante ritiene che non sia configurabile l’esercizio di un’attività imprenditoriale poiché, per l’operazione di variazione di destinazione d’uso, “non occorrono interventi di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia di rilevanza economica, ma solo i necessari interventi strutturali atti a consentire l’ottenimento del mutamento di destinazione d’uso e il conseguente accatastamento”.

Di parere opposto è la risposta dell’Agenzia delle Entrate, richiamando la risoluzione 20.06.2002, n. 204/E. Secondo l’Agenzia delle Entrate “l’esercizio dell’impresa… può esaurirsi anche con un singolo affare, in considerazione della sua rilevanza economica e delle operazioni che il suo svolgimento comporta e, a tal fine – non rileva che le opere eseguite siano qualificabili quali opere di risanamento conservativo”. Altresì, è ritenuta imprenditoriale l’attività del soggetto privato “dal momento che l’intervento sull’immobile originariamente C/2 di cui è proprietaria, risulta finalizzato non a proprio uso o a quello della propria famiglia, bensì alla vendita a terzi, previo ottenimento del cambiamento della destinazione d’uso, avvalendosi di un’organizzazione produttiva idonea e svolgendo un’attività protrattasi nel tempo”. Ne consegue che il reddito scaturito dalla vendita delle 3 abitazioni deve essere considerato imponibile come reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 55 TUIR, con i conseguenti obblighi civilistici e tributari.

In un periodo di emanazione di agevolazioni e incentivi con l’obiettivo di far ripartire l’economia, tra cui il “neonato” superbonus del 110% (che potrebbe essere esteso anche alle seconde case unifamiliari, come emerge dagli emendamenti proposti al Decreto Rilancio in fase di conversione), la risposta all’interpello 27.05.2020, n. 152 costituisce naturalmente un freno all’intento del legislatore.

Decorso il termine di pagamento della prima rata acconto Imu 2020, sarà quindi consigliabile “intervistare” i clienti di studio, valutando le operazioni da loro compiute in qualità di privati, inerenti l’acquisto o la vendita o la variazione destinazione d’uso di immobili, sia quelle già avviate e, forse, già concluse nel 2019, sia quelle che si intendono attuare nel 2020, al fine di porre rimedio, se possibile, evitando l’instaurazione di un potenziale contenzioso tributario.

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