Paghe e contributi

20 Settembre 2021

Contributo NASpI: un costo in più per le aziende che licenziano

Le imprese sono obbligate a versare un contributo all'Inps in seguito all'interruzione del rapporto di lavoro. L'importo è maggiorato nel caso di licenziamenti collettivi in assenza di accordo sindacale.

Il contributo NASpI, introdotto dalla L. 92/2012, è una somma che le aziende devono versare all’Inps in tutti i casi in cui il lavoratore perde il posto di lavoro con diritto di accesso alla NASpI; in particolare, il contributo è dovuto in caso di:

  • licenziamento per giustificato motivo oggettivo, individuale o collettivo;
  • licenziamento per giustificato motivo soggettivo o giusta causa;
  • licenziamento durante il periodo di prova;
  • licenziamento per superamento del periodo di comporto;
  • recesso al termine del periodo di apprendistato professionalizzante;
  • risoluzione consensuale avvenuta a seguito della procedura obbligatoria per le aziende soggette a tutela reale (aziende con almeno 15 dipendenti);
  • risoluzione consensuale o licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione ex art. 6, D.Lgs. 23/2015 (rapporto di lavoro a tutele crescenti);
  • risoluzione a seguito della rinuncia al trasferimento oltre 50 km o 80 minuti dalla residenza;
  • dimissioni per giusta causa, compreso il caso di dimissioni nei 3 mesi successivi al trasferimento d’azienda ex art. 2112 C.C.;
  • dimissioni nel periodo tutelato per maternità, cioè fino al 1° anno di vita del bambino.

Il contributo è dovuto in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto può generare un teorico diritto all’indennità NASpI, a prescindere dall’effettiva fruizione.

Il contributo NASpI non è invece dovuto nei seguenti casi:

  • risoluzioni consensuali di rapporti di lavoro a tutele crescenti (instaurati dopo il 7.03.2015) in assenza di accettazione dell’offerta di conciliazione ex art. 6, D.Lgs. 23/2015;
  • risoluzione consensuale per le aziende non soggette a tutela reale (aziende fino a 15 dipendenti);
  • dimissioni volontarie;
  • risoluzione consensuale in “sede protetta” (es. sede sindacale);
  • decesso del lavoratore;
  • risoluzione con accompagnamento alla pensione;
  • licenziamento di un lavoratore già pensionato o se il diritto alla pensione matura dal giorno successivo alla risoluzione del rapporto di lavoro;
  • licenziamento effettuato in conseguenza di cambio di appalto, in attuazione di clausole sociali contrattuali;
  • licenziamento nel settore edile per completamento attività e chiusura cantiere;
  • licenziamento effettuato da società in stato di procedura fallimentare o amministrazione straordinaria, nel caso in cui abbiano richiesto trattamenti straordinari di integrazione salariale negli anni 2019-2020 e di essere esonerate dal versamento.

L’importo del contributo è pari al 41% del massimale mensile di NASpI e per il 2021 è pari a 547,51 euro annui, corrispondenti a 45,63 euro mensili, per ogni mese di anzianità del lavoratore fino ad un massimo di 3 anni; l’importo massimo del ticket è quindi pari a 1.642,53 euro. L’importo non deve essere riproporzionato nel caso di lavoratore part-time.

Nei casi di licenziamenti collettivi ex L. 223/1991 per le aziende soggette al contributo CIGS, l’importo dovuto è pari al 82% del massimale mensile di NASpI e quindi pari a 3.285,06 euro.

Inoltre, quando la procedura di licenziamento collettivo si conclude senza accordo sindacale, l’importo triplica e sarà quindi pari a 9.855,18 euro per le aziende soggette al contributo CIGS e 4.927,59 euro per le aziende escluse dal contributo CIGS.

Le aziende devono quindi tenere presente che nell’ambito delle procedure di licenziamento collettivo, l’assenza di un accordo sindacale comporta un costo 3 volte maggiore.

Il contributo NASpI deve essere versato unitamente ai contributi Inps “DM10 del mese successivo al licenziamento, cioè entro il giorno 16 del 2° mese successivo al licenziamento, in un’unica soluzione.

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