Agricoltura ed economia verde

12 Aprile 2024

No conversione in affitto per la soccida con conferimento di pascolo

La Corte di Cassazione, uniformandosi alla decisione del Giudice d’appello, ha confermato l’esistenza di un contratto di soccida (parziaria) con conferimento di pascolo, verbale, non ritenendo di convertire il rapporto in un contratto di affitto.

Ai sensi dell’art. 2170 e seguenti c.c., la soccida è il contratto con cui 2 soggetti, il soccidante e il soccidario, si associano per l’allevamento e lo sfruttamento del bestiame allo scopo di ripartirne l’accrescimento; è un contratto agrario rimasto vivo anche dopo la riforma avvenuta con la L. 203/1982.
La soccida, contratto tipico, associativo, con comunione di scopo, permette al soccidante e al soccidario di svolgere in comune un’attività agricola ex art. 2135 c.c., volta all’allevamento e allo sfruttamento degli animali. Tramite tale contratto, entrambi i soggetti coinvolti acquisiscono la qualifica di imprenditori agricoli.

Nella stragrande maggioranza delle situazioni si è in presenza di cosiddetta soccida semplice, caratterizzata dal fatto che il soccidante conferisce il bestiame al soccidario, il quale a sua volta ne cura l’allevamento. Seppure di minore applicazione nella pratica, il contratto di soccida oggetto dell’ordinanza della Corte di Cassazione, Sez. III Civ., 16.01.2024, n. 1645, ha all’origine un contratto ibrido tra la soccida con conferimento di pascolo, in cui il soccidante conferisce il pascolo, mentre è il soccidario a conferire il bestiame (ed a dirigere l’attività) e la soccida parziaria, ove il bestiame è conferito da entrambi i contraenti in quota parte, configurando una situazione di soccida parziaria con conferimento di pascolo.

Nella situazione in esame, una parte riteneva l’esistenza di 2 contratti di soccida stipulati verbalmente, uno di soccida con conferimento di pascolo e uno di soccida parziaria. Con riferimento al primo, inoltre, veniva richiesto che, ai sensi dell’art. 27 L. 203/1982 fosse convertito in un contratto di affitto, situazione che avrebbe fatto ottenere alla parte ricorrente anche il diritto a percepire le erogazioni dei contributi sulla base dei titoli Pac.

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Tra le righe della sentenza, che di fatto conferma il giudizio di appello, si possono leggere alcuni spunti. Innanzitutto, si tratta di un contratto verbale stipulato nel 1986, rimasto in piedi fino al 2016 (con cessazione concordata tra le parti) e riconosciuto in sede di giudizio (tranne che in primo grado) senza che potesse essere richiesta la forma scritta, come avviene ai sensi dell’art. 41 L. 203/1986, per i contratti di affitto di fondo rustico, ultranovennali, a non coltivatore diretto, che per essere opponibili ai terzi devono essere stipulati in forma scritta.

Allo stesso tempo, essendo un contratto che prevedeva l’apporto di terreni adibiti a pascolo da parte del soccidante e altresì metà dei capi (l’altra metà apportata dal soccidario) non vi è margine, per la Cassazione, per la possibilità di conversione del contratto di soccida in contratto di fondo rustico e pertanto nemmeno della possibilità del soccidario di far ricomprendere nel risultato della soccida, da ripartire, anche i contributi incassati dai titoli Pac del soccidante detentore dei terreni medesimi tramite un contratto di comodato.

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