Accertamento, riscossione e contenzioso

11 Aprile 2024

Crediti inesistenti, l’onere della prova ancora sul contribuente

La nuova formulazione dell'art. 7, c. 5-bis D.Lgs. 546/1992 non modifica l'ordinaria ripartizione dell'onere della prova (C.G.T. Abruzzo, sent. 2.01.2024, n. 1).

La nuova formulazione dell’art. 7, c. 5-bis D.Lgs. 546/1992, entrata in vigore il 16.09.2022 a seguito di quanto disposto dalla L. 130/2022, afferma che è l’Amministrazione Finanziaria a dover provare le ragioni oggettive dell’accertamento senza, tuttavia, giungere ad addossare ogni onere probatorio all’Agenzia delle Entrate, non modificando, dunque, l’ordinaria ripartizione prevista all’art. 2697 c.c., che così recita: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.

Ciò è quanto riporta la Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, con la sentenza 2.01.2024, n. 1, che, in tema di recupero di crediti ritenuti inesistenti dal Fisco, chiarisce che è onere del contribuente provare che tali crediti non erano fittizi e smentire la ricostruzione dei fatti operata dall’Ufficio (medesimo orientamento espresso anche dalla Cassazione, ordinanza 30.01.2024, n. 2746, in cui viene sancito che, in base all’art. 2697 c.c., chi vuole fare valere un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e chi ne eccepisce l’inefficacia, deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda).

Nel caso di specie, il contribuente impugnava l’atto di recupero di alcune imposte compensate con crediti ritenuti inesistenti. I giudici di prime cure respingevano il ricorso, affermando che l’onere di provare l’esistenza dei crediti gravasse sul contribuente e che tale prova non era stata fornita. Il contribuente, ricorrendo in appello avverso la sentenza di primo grado, eccepiva invece che tale onere fosse stato superato dal nuovo art. 7, c. 5-bis D.Lgs. 546/1992 (introdotto dalla L. 130/2022 e in vigore dal 16.09.2022), secondo cui gli Uffici devono provare le violazioni contestate con l’atto impugnato.

Tuttavia, la tesi dell’appellante non convince i giudici della Corte di giustizia tributaria che, in riferimento alla disposizione in parola, chiariscono che la stessa non modifica l’ordinaria ripartizione dell’onere della prova, limitandosi semplicemente ad affermare che è “l’Amministrazione Finanziaria a dover provare le ragioni oggettive dell’accertamento, senza giungere, come pretenderebbe la contribuente, ad addossare ogni onere probatoria all’Agenzia delle Entrate. Tale ordinaria ripartizione dell’onere della prova nel giudizio resta ancorata ai principi classici, ovvero quelli stabiliti dall’art. 2697 c.c. che non risulta affatto abrogato o comunque inapplicabile al processo tributario”.

Nel merito della vicenda, dunque, i giudici di secondo grado, sulla stregua di quanto sopra riportato (e che, dunque, fosse onere della società contribuente dimostrare l’esistenza dei crediti utilizzati in compensazione), rigettano il ricorso chiarendo che tale onere non solo non è stato assolto ma che, al contrario, appare dimostrato in modo specifico, e in senso contrario (proprio dall’Agenzia delle Entrate, attraverso i vari avvisi di accertamento), l’esistenza di una frode carosello fondata sull’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

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