Accertamento, riscossione e contenzioso

04 Maggio 2022

Crediti non spettanti o inesistenti: qual è la differenza

Il reato di indebita compensazione si fonda sulla dicotomia tra crediti non spettanti e crediti inesistenti, fattispecie diverse e autonome.

L’art. 10-quater D.Lgs. 74/2002 (indebita compensazione) disciplina 2 diverse ipotesi di reato: con il c. 1 è punito chiunque non versa le somme dovute utilizzando in compensazione crediti non spettanti per un importo annuo superiore a 50.000 euro, mentre il c. 2 punisce chiunque non versa le somme dovute avvalendosi della compensazione con crediti inesistenti per analogo importo annuo.

Per la Corte di Cassazione (sentenza n. 7615/2022), un credito non può essere al contempo non spettante e inesistente, è l’uno o l’altro. A maggior chiarimento dell’assunto la Corte fornisce la definizione di credito inesistente: deve considerarsi tale “il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costituivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli” di rito esperiti dall’Amministrazione Finanziaria. In particolare, devono ricorrere entrambi i requisiti:

  • mancare il presupposto costitutivo, il credito non risulta dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente;
  • l’inesistenza non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria.

Ne consegue, a contrario, che se manca uno di tali requisiti il credito deve ritenersi non spettante.

Se la non spettanza del credito d’imposta è rilevabile attraverso l’attività di controllo automatizzato o formale, quale confronto tra i dati esposti in dichiarazione e i documenti conservati ed esibiti dal contribuente, il credito è esistente ma non spettante. Viceversa, se il credito non è reale, perché sostenuto da falsa documentazione, ancorché esposto in dichiarazione, lo si deve considerare inesistente. Al riguardo, il legislatore ha previsto termini di accertamento diversi per le due ipotesi, così come 2 sanzioni distinte.

Relativamente all’aspetto soggettivo del reato, la Corte sottolinea che la diversità delle 2 ipotesi incide anche su questo. L’inesistenza del credito, salvo prova contraria, costituisce di per sé un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di pareggiare i propri debiti verso l’Erario con un credito creato artificiosamente, mentre nel caso di deduzione di crediti “non spettanti” è necessario provare la consapevolezza da parte del contribuente che tali crediti non siano utilizzabili in compensazione.

Vale rammentare che la sentenza della Cassazione n. 2125/2020 ha sancito che gli interventi pubblici a sostegno delle attività produttive, tra le varie tipologie di erogazioni, includono anche i crediti d’imposta.

Inoltre, l’art. 2 D.L. 25.02.2022, n. 13 (Misure sanzionatorie contro le frodi in materia di erogazioni pubbliche) ha modificato le rubriche degli artt. 316-bis e 316-ter c.p., rispettivamente, “malversazione di erogazioni pubbliche” e “indebita percezione di erogazioni pubbliche“, entrambe fattispecie presupposto della responsabilità amministrativa da reato degli enti di cui al D.Lgs. 231/2001.

Ad avviso di chi scrive, è bene prestare la massima attenzione ai possibili effetti congiunti di tali ultimi 2 aspetti: la contestazione per utilizzo di crediti d’imposta creati artificiosamente (inesistenti) potrebbe attrarre anche quella di “indebita percezione di erogazioni pubbliche”, con relative possibili sanzioni pecuniarie e interdittive in caso di condanna dell’ente che si è avvalso del credito inesistente.

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