Agricoltura ed economia verde

26 Luglio 2021

Il pasticcio della cessione crediti CO2 per società agricole

Alla luce della risposta n. 365/2020 dell’Agenzia delle Entrate, l'operazione può avere risvolti fiscali non così favorevoli.

La risposta all’interpello n. 365/2020, proposto da una società agricola che ha avviato un impianto di coltivazioni arboree pluriennali di alto fusto per la produzione agricola di germogli, legno, arbusti, ecc. e che di conseguenza ha ottenuto certificati VERs, vale a dire crediti di emissione di CO2 cedibili sul mercato in regime di libera contrattazione, pone alcune questioni non secondarie.

In prima battuta l’istante ha semplicemente domandato all’Agenzia delle Entrate se i corrispettivi derivanti dalla cessione di tali crediti/certificati potessero fiscalmente rientrare tra i redditi tassabili ai sensi dell’art. 56-bis, c. 3 del Tuir: “Per le attività dirette alla fornitura di servizi di cui al terzo comma dell’art. 2135 C.C., il reddito è determinato applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, conseguiti con tali attività, il coefficiente di redditività del 25%”. Si tiene a precisare che la classificazione di tali proventi nelle prestazioni di servizi era già stata a suo tempo sdoganata dalla risoluzione 20.03.2009, n. 71/E. In seconda battuta, la società istante riteneva altresì che l’Iva sulle predette cessioni potesse rientrare nell’art. 34-bis D.P.R. 633/1972 e dovuta forfetariamente nella misura del 50%.

L’Agenzia delle Entrate ha risposto in modo negativo ad entrambi i quesiti. In punto redditi, l’Amministrazione Finanziaria ritiene che non vi sia alcuna norma di legge che assimili la “produzione” di questi crediti con le attività agricole connesse di cui all’art. 2135, c. 3, C.C., così come invece è avvenuto, per esempio, per la produzione di energia elettrica. Pertanto, la cessione di tali certificati è considerata reddito d’impresa in quanto attività assolutamente commerciale. Tralasciando gli aspetti che hanno portato l’Agenzia delle Entrate a questa presa di posizione, che resterà tale fintanto non vi saranno norme dello Stato che consentano effettivamente di assimilare queste cessioni a prestazioni di servizi “agricole”, la risposta genera non pochi problemi sia in merito alla determinazione del reddito tassabile, sia soprattutto alla qualifica di società agricola.

Per la determinazione del reddito, è da considerare che i crediti si formano presumibilmente sulla base dello sviluppo della vegetazione delle colture: più assorbono anidride carbonica, più verosimilmente avrà certificati da cedere, tolta eventualmente qualche spesa di diretta imputazione relativa ad eventuali certificazioni. Come posso imputare le spese sostenute per la coltivazione delle colture arboree alle prestazioni di servizi relativa alla cessione dei certificati?

Non è nemmeno ipotizzabile che una quota parte delle spese relative alla coltivazione, quote di ammortamento dell’impianto, sfalcio dell’erba intra fila, concimazione, irrigazione e trattamenti, tutte attività che comportano un migliore sviluppo e vigoria delle piantagioni con benefici sia dal punto di vista della produzione agricola che di assorbimento di anidride, possano essere solamente imputate all’attività agricola (senza poterle dedurre se in regime catastale) e non anche deducibili dal reddito d’impresa. In tale ottica, invece, una tassazione sulla base del 25% dei corrispettivi riconosceva in via forfettaria una quota dei costi.

Infine, considerata che le società agricole hanno quale oggetto esclusivo l’esercizio dell’attività agricola, la cessione dei certificati VERs considerata totalmente commerciale, mina l’esclusività e quindi la qualifica di società agricola.

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