Accertamento, riscossione e contenzioso

20 Dicembre 2013

L'eccesso di zelo porta al reato

La sussistenza della mera notizia di reato, sotto il profilo tributario, è causa del raddoppio dei termini per l`accertamento.

Procedimento penale e processo tributario, si sa, corrono su binari paralleli che, in base ai rudimenti di geometria, mai dovrebbero incontrarsi. Cio nonostante, questi trovano un improprio punto di convergenza con riferimento alle fattispecie delittuose ex D.Lgs. 74/2000, al ricorrere delle quali la norma fiscale configura il raddoppio dei termini per l`accertamento delle imposte.

Ai sensi dell`art.43, c.1, D.P.R. 600/1973 (e dell`art. 57, c.1, D.P.R. 633/1972 in tema di IVA), infatti, gli avvisi di accertamento (o di rettifica) devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31.12 del 4° anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. In tal contesto, il Legislatore del 2006 ha introdotto un meccanismo in forza del quale i termini per l`accertamento delle imposte sui redditi e dell`IVA sono raddoppiati con riferimento al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione penale (art.37, cc. 24 e 25 del D.L. 223/2006).

La Corte Costituzionale si è successivamente pronunciata affermando che l`obbligo di denuncia ai sensi dell`art. 331 C.P.P. si ravvisa quando il pubblico ufficiale “sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare (…) non essendo sufficiente un generico sospetto di attività illecita” (sentenza 247/2011). E qui sorgono i problemi.

Quando si configurano circostanze che vanno oltre il generico sospetto? E quando, al contrario, la denuncia viene notificata per eccesso di zelo del funzionario accertatore?

Gli avvisi di accertamento spesso recano la formula di stile “i verificatori hanno avuto ben più di un generico sospetto di attività illecita costituente reato” al solo fine di “incastrare” la motivazione tra i paletti imposti dal Giudice delle leggi ma, nella sostanza, l`impianto probatorio risulta carente.

Ecco allora che la difesa deve fare leva sui poteri del Giudice tributario, al quale è riconosciuto il potere di vagliare, in via incidentale, la presenza degli estremi per l`obbligo della denuncia, mediante quel giudizio di “prognosi postuma” che consente di accertare “se l`Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento” (sent. 247/2011).

Interessante è l`orientamento della Giurisprudenza di merito, la quale ha già assunto una posizione garantista, ponendo in capo all`Ufficio anche l`onere di fornire la prova dell`avvenuta denuncia di reato alla competente Procura della Repubblica. Come? Depositandola in atti del processo tributario. Si vedano ex multis: sent. C.T.P. di Milano n. 372/3/2011, sent. C.T.P. di Brescia n. 40/16/12, secondo le quali l`Ufficio deve allegare copia della denuncia penale ai fini del legittimo ricorso al termine lungo; sent. C.T.P. di Reggio Emilia n. 74/02/12, C.T.R. del Lazio sent. n. 50/2012, C.T.P. di Lecco sent. n.74/01/2012, C.T.P. di Vicenza sent. n. 824/1/12, C.T.P. di Reggio Emilia sent. n. 135/1/12, secondo le quali la denuncia di reato non solo deve essere prodotta nel processo tributario ma deve essere accompagnata da adeguate prove; sent. C.T.P. di Milano n.104/05/13, la quale precisa, inoltre, che la denuncia deve essere depositata già nel primo grado di giudizio; sent. C.T.P. di Milano n. 231/40/2011, con la quale viene espressamente ritenuta non esaustiva la mera enunciazione dell`inoltro della notizia di reato nell`avviso di accertamento.

L`auspicio è quello che possa darsi concreta attuazione alla giacente delega fiscale per definire una volta per tutte la portata applicativa del raddoppio dei termini.

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