ETS ed Enti non commerciali

19 Ottobre 2015

L`aliquota IRES ridotta per gli enti ecclesiastici

Da qualche tempo sono in corso accertamenti da parte dell`Agenzia delle Entrate a carico di enti ecclesiastici ove si contesta l`applicazione dell`aliquota ires ridotta a metà.

L`art. 6 del D.P.R. 601/1973 dispone il dimezzamento dell`aliquota IRES a favore degli “enti il cui fine è equiparato per legge a quello di beneficenza o di istruzione”.

Agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, in forza della equiparazione concordataria con gli enti di cui sopra, spetta la riduzione al 50% dell`aliquota IRES.
Dalla lettura dell`art. 6 sopra citato si evince chiaramente la natura soggettiva, come letteralmente affermato dal Titolo I “Agevolazione di carattere soggettivo”. In tal senso si è espressa anche una sentenza della Corte Costituzionale (17.12.1987 n. 526).
Viceversa l`Amministrazione Finanziaria, supportata anche da giurisprudenza di Cassazione (per tutte si veda la sentenza 9.03.1990 n. 2573), contesta il carattere soggettivo della norma, ritenendo che tale agevolazione non spetti all`ente ecclesiastico in quanto tale, ma può in concreto applicarsi solo in relazione alle attività dirette di culto e religione, nonché a quelle diverse per le quali sia riconosciuto il nesso di strumentalità immediata e diretta con le finalità di religione e di culto (Ris. 91/E/2005). Conseguentemente, l`aliquota agevolata sarebbe riconosciuta alle sole attività di religione e di culto che, però, come è noto, non sono soggette a tassazione ai fini IRES, in quanto, ai fini di tale imposta, rilevano unicamente le attività commerciali esercitate, e non quelle istituzionali.
Nel merito si osserva quanto segue.
Sia la giurisprudenza di legittimità che la risoluzione ministeriale del 2005 individuano il cd. “requisito oggettivo” nell`esercizio di eventuali attività commerciali. In proposito conviene osservare che da tempo molteplici indicatori normativi (per tutti il D.M. 200/2012 riguardante l`IMU degli enti non commerciali) rappresentano una conferma del fatto che alla commercialità non si accede per il solo fatto che l`attività rientri tra quelle di cui all`art. 55 del TUIR, ma si richiede altresì che quantomeno lo svolgimento di essa segua logiche di mercato: si rivolga, cioè, ad una platea potenzialmente indeterminata di destinatari, e sia improntata ad un criterio economico di gestione (l`autosufficienza finanziaria), che cioè permanga nel tempo almeno l`equilibrio costi-ricavi, e, in prospettiva, si consideri la tendenza a produrre utili.
Ora, nella maggior parte dei casi, negli enti ecclesiastici, l`attività viene gestita al di fuori dei normali canali commerciali, spesso in convenzione con l`ente pubblico per lo svolgimento di opere di carattere sociale, senza scopo di lucro. Proprio la specifica modalità di esercizio di siffatte attività è la migliore dimostrazione del loro inscindibile legame con la missione pastorale che caratterizza l`ente.
Tale legame è riscontrabile anche per quanto riguarda i redditi fondiari prodotti dagli enti ecclesiastici. Basta tenere conto dell`utilizzo degli immobili o per le attività istituzionali dell`ente, che hanno sempre una connotazione di carattere religioso, o per la concessione in comodato gratuito a enti promossi per il perseguimento di analoghe finalità. Anche allorchè gli immobili siano dati in locazione a terzi per reperire mezzi finanziari per l`esercizio dell`attività istituzionale, il fine religioso è presente.

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