ETS ed Enti non commerciali

16 Marzo 2023

Ancora sull’aliquota Ires ridotta agli Enti ecclesiastici

Merita attenzione la questione pregiudiziale del riconoscimento non solo della finalità, ma anche dell’attività di religione o culto svolta da questo soggetto concordatario del tutto singolare.

Con ordinanza 16.01.2023, n. 1664, la Corte di Cassazione ha rinviato alla Commissione tributaria regionale del Piemonte l’esame della questione circa la sussistenza, per l’Istituto diocesano per il sostentamento del clero della diocesi di Acqui Terme, del diritto ad applicare l’aliquota Ires agevolata (art. 6 D.P.R. 601/1973) ai redditi percepiti dalle locazioni degli immobili del patrimonio istituzionale.

Infatti, mentre la Commissione provinciale e quella regionale avevano ritenuto che l’agevolazione in oggetto fosse di natura meramente soggettiva (ovvero, la sussistenza del fine di beneficenza o di istruzione e la personalità giuridica degli enti), la Suprema Corte, in coerenza con i precedenti (e con la circolare n. 15/E/2022 dell’Agenzia delle Entrate), ha ritenuto che si tratti di una agevolazione che presuppone anche un requisito oggettivo: “… occorre altresì accertare che l’attività in concreto esercitata dagli stessi non abbia carattere commerciale, in via esclusiva o principale, ed inoltre, in presenza di un’attività commerciale di tipo non prevalente, che la stessa sia in rapporto di strumentalità diretta ed immediata con quei fini, e quindi, non si limiti a perseguire il procacciamento dei mezzi economici al riguardo occorrenti, dovendo altrimenti essere classificata come ‘attività diversa’, soggetta all’ordinaria tassazione (Cass. n. 25586/2016)”.

Riguardo al profilo oggettivo, la Cassazione ha anche ribadito che è onere del contribuente provare che l’attività non commerciale (o commerciale non prevalente) assoggettata a tassazione è in rapporto di strumentalità diretta e immediata con il fine di religione o culto (in quanto – per gli enti concordatari – equiparati al fine di beneficenza e istruzione).

Proprio riguardo alla sussistenza della strumentalità diretta tra l’attività “diversa” e il “fine di religione o culto”, la Cassazione la esclude qualora “per la intrinseca natura di essa (nda: la locazione dei patrimonio immobiliare istituzionale) o per la sua estraneità rispetto al fine (di religione o di culto), non sia con esso coerente in quanto indifferentemente utilizzabile per il perseguimento di qualsiasi altro fine; quando si tratti, cioè, di un’attività volta al procacciamento di mezzi economici da impiegare in una ulteriore attività direttamente finalizzata, quest’ultima, al culto o alla religione”.

Questo pare essere il cuore del caso: che rapporto sussiste tra l’attività di messa a reddito del patrimonio dell’Istituto e il fine istituzionale?

La legge concordataria (L. 222/1985) ha disciplinato gli enti concordatari costituiti dalla Chiesa Cattolica disponendo, tra l’altro, che possono acquisire la qualifica di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti gli enti della Chiesa che hanno “fine di religione o culto”, distinguendo tra situazioni:

  • per gli enti che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa (in primis: Conferenza episcopale, diocesi, parrocchie) tale fine è definito ope legis dall’art. 2;
  • per gli altri enti costituiti dall’autorità ecclesiastica, tale fine deve essere accertato attraverso la verifica della sussistenza delle attività di cui all’art. 16, lett. a) (attività “dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana”);
  • per gli Istituti (centrale e diocesani) per il sostentamento del clero il fine di religione o culto è in un certo senso attestato in modo singolare/speciale dalla stessa L. 222/1985, che li ha disciplinati nel Titolo II (e non nel Titolo I come per gli altri enti).

Inoltre, mentre gli enti concordatari diversi dagli Istituti per il sostentamento del clero possono svolgere anche “attività diverse” da quelle di religione o culto (art. 15), gli Istituti devono svolgere solo l’attività di messa a reddito del patrimonio al fine di provvedere le risorse per “assicurare il congruo e dignitoso sostentamento del clero” (art. 24), per le funzioni previdenziali integrative per il clero (art. 27), nonché per sovvenire alle necessità nei casi di abbandono della vita ecclesiastica.

L’attività svolta dagli Istituti, inoltre, non è rimessa alla sola autorità ecclesiastica come per gli enti concordatari del Titolo I, in quanto anche lo Stato ha un interesse proprio che il loro patrimonio sia utilizzato e amministrato solo per reperire le risorse da destinare al sostentamento del clero, così da limitare quanto più possibile il ricorso ai fondi dell’8 per mille (art. 48). Un esempio delle prerogative dell’ordinamento statale sull’utilizzo del patrimonio di questi Istituti è il divieto di donare o concedere in uso gratuito i beni (cf. Consiglio di Stato, parere 17.10.1990, n. 1274).

Dunque, occorre riconoscere che, ancora in modo singolare, l’azione degli Istituti è talmente vincolata da escludere che essi possano svolgere le cosiddette “attività diverse” (diritto, invece, riconosciuto agli altri enti concordatari dall’art. 15) rispetto alla loro attività (unica) e loro fine istituzionale (e unico) di gestire il patrimonio per disporre delle risorse finanziare necessarie per assicurare al clero un dignitoso sostentamento e gli interventi previdenziali.

Preso atto che gli Istituti per il sostentamento del clero hanno una disciplina del tutto singolare circa il fine e le attività che possono svolgere, frutto di un’elaborazione congiunta dell’articolato recepito dalla L. 222/1985 (per cui è fonte giuridica al contempo canonica e civile), il principio della “strumentalità diretta”, come declinata ordinariamente dalla giurisprudenza e dalla prassi, potrebbe non essere adeguato per individuare le attività e i redditi che possono godere dell’aliquota Ires ridotta.

Dunque, se regge tale ricostruzione del sistema, anche la classica distinzione tra attività di religione o culto e attività diverse, assume una rilevanza assai depotenziata e la questione dell’applicabilità dell’aliquota Ires non dovrebbe essere affrontata applicando il principio della “strumentalità diretta”, in quanto questi Istituti possono svolgere una sola attività (la gestione e la messa a reddito del patrimonio) per un unico fine (il sostentamento del clero).

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