IVA

07 Marzo 2023

Lo split payment verso l’abolizione (forse)

Il 30.06.2023 scade la scissione dei pagamenti, misura transitoria ed eccezionale di riscossione dell’Iva che ormai dura da oltre 8 anni. Non pochi saranno, infatti, i cambiamenti che le PA dovranno affrontare.

Il 30.06.2023 si avvicina e già è percepibile l’ansia delle pubbliche amministrazioni, dei loro fornitori e dei professionisti che li assistono, per il destino che avrà la scissione dei pagamenti, il c.d. split payment di cui all’art. 17-ter D.P.R. 633/1972, introdotto come misura “temporanea” nell’ormai lontano 2015. Un sentimento di incertezza che ovviamente è dettato da motivazioni diametralmente opposte: da una parte le PA che temono l’inevitabile mole di lavoro che le investirà se costrette, dal 1.07.2023, a modificare le procedure di autorizzazione, contabilizzazione, pagamento, gestione fiscale delle fatture ricevute; dall’altra i fornitori che invece sperano di tornare al passato sentendosi da troppo tempo defraudati di buona parte della loro liquidità per effetto dei crediti Iva, non sempre smobilizzabili con celerità.

La storia delle due proroghe dello split payment già subite dal mondo produttivo italiano è la rappresentazione plastica della rigidità dello Stato nel modificare norme fiscali inique per il contribuente (lo split payment è una deroga concessa in via straordinaria, ai sensi dell’art. 395 della Direttiva Iva 2006/112/Ce, al “normale” funzionamento dell’Iva secondo le stesse regole comunitarie) quando portatrici di grandi vantaggi “di cassa” per l’Erario.

Con decisione 2017/784 del 25.04.2017, la Commissione Europea aveva accolto le richieste dell’Italia per il prolungamento dello split payment, fino al 30.06.2020. Rispetto alla precedente autorizzazione si assisteva, per la prima volta, alla reiterazione di una misura derogatrice al normale funzionamento dell’imposta che avrebbe dovuto avere soltanto natura transitoria.

L’art. 1 della Decisione stabiliva, infatti: “In deroga all’articolo 206 della direttiva 2006/112/CE, l’Italia è autorizzata a disporre che l’Iva dovuta sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi ai seguenti soggetti debba essere versata dall’acquirente/destinatario su un apposito conto bancario bloccato dell’amministrazione fiscale”.

La predetta decisione era stata emanata tenendo conto dell’impegno dell’Italia a non chiedere un’ulteriore proroga rispetto alla scadenza del 30.06.2020 poiché, si leggeva nel p. 7 del “considerando” della decisione 2017/584, la piena attuazione della fatturazione elettronica obbligatoria (anch’essa una deroga rispetto all’impianto normativo comunitario) sarebbe stato strumento sufficiente per l’attività di controllo a garanzia del gettito Iva italiano.

Ma la seconda proroga (peraltro in ritardo) è giunta addirittura in piena pandemia Covid-19, quando neppure si contavano le norme (anche) fiscali straordinarie per favorire della liquidità dei contribuenti. Altri 3 anni di split payment, infatti, erano ipotecati con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Ue del 28.07.2020 della “Decisione di esecuzione (UE) 2020/1105 del Consiglio del 24.07.2020“, con buona pace delle categorie produttive fornitrici delle pubbliche amministrazioni che avevano contestato sino all’ultimo la richiesta di autorizzazione UE da parte del Governo italiano.

Nella decisione del 2020 si desume (“considerando” n. 6) che l’Italia ha sostenuto la complementarità delle due rivoluzioni normative antifrode introdotte negli ultimi anni: lo split payment, appunto, e la fatturazione elettronica. Quest’ultima è di ausilio all’Erario per intercettare rapidamente i casi di evasione e di frode, lo split payment invece evita comportamenti omissivi in sede di versamento, trasferendo su soggetti “affidabili” (PA, società quotate, ecc.) il relativo onere.

Si trattava di una curiosa (rectius: capziosa) mutazione motivazionale del Governo rispetto a quella manifestata nella decisione del 2017; testualmente, infatti, si leggeva: “il meccanismo di scissione dei pagamenti, in quanto misura ex ante, si è dimostrato più efficace della fatturazione elettronica obbligatoria, che costituisce una misura ex post.”.

Resta il fatto che lo ”impegno” del 2017 fu disatteso, e la UE glissò sull’anticipazione di gettito (a discapito della liquidità delle imprese) fatta passare per effettivo recupero di gettito.

Si tratta, ora, nel 2023, di attendere gli sviluppi constatando che il semplice fatto che a pochi mesi dalla scadenza non sia chiaro il destino dello split payment è rappresentativo del disagio degli operatori.

Gli enti locali non amano molto ricordare il 2015, anno in cui gli uffici finanziari furono travolti dall’arrivo di split payment, fatturaPA e prima applicazione dell’armonizzazione contabile ex D.Lgs. 118/2011. Non poter programmare con il necessario anticipo l’abbandono dello split payment renderebbe altrettanto “difficile” il secondo semestre del 2023.

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