Amministrazione e bilancio

09 Ottobre 2025

Responsabilità per bancarotta impropria da operazioni dolose

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28178/2025, conferma la condanna dell’amministratore per bancarotta impropria: è sufficiente la prevedibilità del dissesto derivante da condotte dolose.

La Cassazione, con la sentenza n. 28178/2025, ha confermato la condanna per bancarotta impropria da operazioni dolose ex art. 223, c. 2, n. 2, seconda ipotesi R.D. 267/1942 nei confronti di un amministratore che, prima dell’avvio di una lunga fase liquidatoria durata oltre 6 anni, aveva lasciato la società, poi fallita, con un rilevante debito erariale pari a circa 155.000 euro. Tale esposizione debitoria era conseguenza diretta della persistente omissione di versamenti fiscali, configurabile come frutto di una specifica scelta gestionale, poi aggravata dall’inerzia dei liquidatori nel coltivare il contenzioso in essere. La pronuncia impugnata era stata oggetto di critiche da parte della difesa, fondate principalmente su 3 argomenti: la presunta impropria equiparazione tra dissesto e fallimento, l’asserita mancanza di nesso causale tra la condotta dell’imputato e il fallimento, nonché l’inesistenza dell’elemento soggettivo del reato, ritenuto inadeguatamente ricondotto al dolo eventuale.

Tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto infondati tali rilievi, evidenziando che l’art. 223 L.F., nella seconda ipotesi del c. 2, fa riferimento al fallimento inteso in senso sostanziale, cioè alla condizione di dissesto economico-patrimoniale in cui versa l’impresa a seguito di condotte gestionali illecite. Il termine “fallimento”, infatti, in questo contesto, secondo la Corte, non deve essere interpretato come semplice riferimento al provvedimento giudiziale che dichiara lo stato di insolvenza (fallimento in senso formale), bensì alla crisi irreversibile dell’impresa causata da operazioni dolose, anche omissive. La nozione di “dissesto”, invece, va intesa come situazione economico-finanziaria compromessa ma non necessariamente definitiva, che si manifesta in modo progressivo e prolungato nel tempo. Sotto il profilo soggettivo, la Corte ha precisato che il dolo non deve riguardare l’evento finale (il dissesto/fallimento), ma le operazioni a monte che si rivelano gravemente pregiudizievoli per l’integrità del patrimonio sociale. È dunque necessaria la consapevolezza di porre in essere azioni (o omissioni) pericolose per la stabilità finanziaria dell’impresa, da cui possa ragionevolmente derivare una decozione economica.

La Cassazione ha altresì ribadito che la prevedibilità dell’evento finale non può fondarsi su criteri astratti e generalizzanti, ma deve essere valutata in concreto alla luce delle peculiarità del caso specifico, come indicato anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 55/2021, la quale ha affermato che un evento non voluto può essere imputato all’agente qualora quest’ultimo possa rappresentarselo come esito logicamente prevedibile delle sue azioni. Applicando tali principi al caso di specie, la Corte ha riconosciuto la piena responsabilità del ricorrente per il ruolo da lui svolto nell’amministrazione della società dal 1993 al 2008, periodo in cui si è registrato un progressivo incremento del debito erariale non fronteggiato da adeguate politiche di gestione finanziaria.

La decisione impugnata ha evidenziato come l’operazione distrattiva contestata, ovvero la vendita di un immobile pochi giorni prima della messa in liquidazione della società, non fosse supportata da una reale contropartita economica, e come l’intera operazione risultasse riconducibile a una strategia di svuotamento patrimoniale in pregiudizio dei creditori, aggravata dalla circostanza che l’acquirente era una società amministrata dalla sorella del ricorrente, divenuto poi egli stesso amministratore unico. Sul piano probatorio, la Corte ha escluso ogni vizio logico nella valutazione degli elementi di fatto da parte dei giudici di merito, respingendo i rilievi circa il presunto travisamento della prova e confermando l’interpretazione secondo cui la documentazione contabile, fornita solo parzialmente e con grave ritardo, non era sufficiente a escludere la responsabilità per bancarotta documentale.

La pronuncia in commento chiarisce che il reiterato omesso versamento di imposte e contributi, specie se protratto per anni e accompagnato da ulteriori operazioni pregiudizievoli, rappresenta una scelta deliberata che rende il dissesto non solo prevedibile, ma in larga misura inevitabile. In conclusione, il delitto di bancarotta da operazioni dolose si configura quando l’amministratore, consapevolmente e volontariamente, realizza atti o omissioni pregiudizievoli per la società, la cui conseguenza prevedibile è il dissesto economico. La responsabilità penale in tali casi non si fonda su meccanismi oggettivi o automatismi, ma sul riscontro, in concreto, di un nesso di causalità sia materiale che psichico tra la condotta dell’agente e lo stato di decozione.

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