Diritto privato, commerciale e amministrativo

11 Ottobre 2025

Ricorsi fatti con l’IA: il Tribunale condanna per abuso

Quando l’automazione nella redazione degli atti giudiziari diventa un boomerang per chi la utilizza, il conto da pagare può essere salato.

Il Tribunale di Latina, Sezione Lavoro, con la sentenza 23.09.2025, n. 1034, ha affrontato un caso che segna un punto di svolta nel rapporto tra tecnologia e processo. La vicenda prende le mosse da una controversia previdenziale apparentemente ordinaria: un ricorso per l’accertamento negativo di un credito contributivo, derivante da un avviso di addebito notificato dall’ente previdenziale. Il ricorrente contestava la legittimità della pretesa, dichiarandosi estraneo al debito. L’ente, dal canto suo, ha sollevato l’eccezione di litispendenza, evidenziando come lo stesso soggetto avesse già proposto un ricorso identico in un altro procedimento, poi dichiarato inammissibile.

Prova documentale che smonta il ricorso – Il giudice ha deciso la causa applicando il criterio della ragione più liquida, una tecnica processuale che consente di fondare la sentenza su un elemento dirimente, senza necessità di esaminare tutte le altre questioni sollevate. Nel caso specifico, l’elemento decisivo è stata la documentazione prodotta dall’ente previdenziale, che attestava in modo inequivocabile la regolare notifica dell’avviso di addebito in data 1.09.2022 e la tempestività dell’atto interruttivo successivo, ossia l’intimazione di pagamento oggetto del ricorso. Di fronte a questa prova, il ricorrente non ha saputo opporre alcuna difesa concreta.

Ricorsi “a stampone”: quando l’IA tradisce la qualità – Il Tribunale ha respinto il ricorso e ha condannato il ricorrente alle spese di lite. Inoltre, ha applicato l’art. 96, c. 3 c.p.c., che punisce la responsabilità aggravata di chi agisce o resiste in giudizio con malafede o colpa grave. Il giudice ha rilevato che il ricorso, insieme a numerosi altri patrocinati dallo stesso difensore, era stato redatto “a stampone” mediante strumenti di intelligenza artificiale. Gli atti risultavano caratterizzati da scarsa qualità, argomenti privi di attinenza con la causa specifica e totale assenza di ordine logico.

A ciò si è aggiunta la condotta processuale del difensore, che non ha mai risposto agli inviti del Tribunale a chiarire la propria posizione e ha promosso più giudizi identici senza giustificazione. Per il giudice, tutto ciò ha configurato un vero e proprio abuso del processo, meritevole di sanzione. La condanna è stata quindi duplice: 1.000 euro da versare alla controparte e altri 1.000 euro alla Cassa delle Ammende.

Monito per il futuro del contenzioso – Questa pronuncia è uno dei primi casi in cui un tribunale italiano sanziona esplicitamente l’uso improprio dell’intelligenza artificiale nella redazione di atti giudiziari. Il messaggio è chiaro: l’automazione non può sostituire il lavoro di analisi, personalizzazione e verifica che ogni difesa processuale richiede.

Il Tribunale ha voluto richiamare i professionisti a una maggiore responsabilità nell’uso degli strumenti digitali. L’intelligenza artificiale può certamente supportare il lavoro legale, ma non può sostituire la competenza, la cura e la serietà che ogni atto difensivo deve possedere. Altrimenti, il rischio è doppio: vedere respinto il proprio ricorso e, peggio ancora, essere condannati per lite temeraria con aggravio di spese e sanzioni pecuniarie.

Per chi opera nel diritto, la tecnologia deve rimanere un alleato, mai un sostituto della professionalità.

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