ETS ed Enti non commerciali

20 Gennaio 2024

Aliquota agevolata per enti ecclesiastici o enti religiosi?

La circolare 28.12.2023, n. 35/E riprende il tema dell’aliquota Ires dimezzata. Nella circolare citata sono menzionati 8 volte gli “enti religiosi civilmente riconosciuti” e 4 volte gli “enti ecclesiastici civilmente riconosciuti”: sono qualifiche soggettive equivalenti o differenti?

In origine la categoria soggettiva degli “enti ecclesiastici civilmente riconosciuti” indicava solo i soggetti giuridici costituiti dalla Chiesa Cattolica (art. 29 del Concordato del 1929 e, ora, art. 7 L. 121/1985, Revisione del Concordato) per i quali l’autorità ecclesiastica chiede allo Stato italiano di riconoscere la personalità giuridica agli effetti civili.

Quando a partire dagli anni ’80 lo Stato ha concluso Intese (o patti, o accordi) anche con altre confessioni religiose, la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuta è stata estesa anche ai loro soggetti.

Dall’esame delle leggi che hanno recepito il Concordato con la Chiesa Cattolica e le Intese con le altre confessioni religiose (ad oggi sono 13), emergono i seguenti elementi che devono sussistere affinché un soggetto giuridico possa essere qualificato come “ente ecclesiastico civilmente riconosciuto”:

  1. è necessario che vi sia un previo accordo tra lo Stato e la confessione religiosa, recepito poi dall’ordinamento italiano in forza di una legge;
  2. è richiesta che la sede dell’ente sia nel territorio dello Stato e, in alcuni casi, anche la cittadinanza italiana (o anche comunitaria) del legale rappresentante;
  3. occorre che l’ente sia promosso dalla confessione religiosa e abbia fine di religione e/o culto (e in alcuni casi anche quelli di istruzione e beneficenza); al fine di evitare incertezze circa il perimetro di queste finalità, in sede di accordo se ne precisa il contenuto (sia in positivo, sia in negativo) e, alcune Intese, prevedono esplicitamente anche che in sede di procedimento di riconoscimento della personalità civile se ne accerti la presenza.

A garanzia del predetto impianto, le Intese esplicitano che i requisiti essenziali per acquisire la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto devono comunque permanere e, qualora, dovessero venir meno (di fatto o per provvedimenti dell’autorità della confessione religiosa) la conseguenza inevitabile è la revoca, da parte dello Stato italiano, del riconoscimento della personalità giuridica agli effetti civili.

A tali enti sono poi riconosciute dalle Intese alcune prerogative, tra cui meritano di essere segnalate:

  • l’attribuzione alla sola confessione religiosa dei poteri di organizzazione dell’ente e quelli per la disciplina delle attività di culto o religione; di contro, compete allo Stato italiano la regolamentazione delle attività che non sono riconducibili a fini di culto o religione (alcune Intese precisano che l’esercizio di tale potere debba, comunque, rispettare l’autonomia e il fine dell’ente);
  • alcune agevolazioni fiscali relative al trasferimento del patrimonio tra enti della confessione religiosa, se realizzato entro un termine perentorio (non oltre i 24 mesi).

Tanto il Concordato con la Chiesa Cattolica, quanto la maggior parte delle Intese, precisano anche che agli “effetti tributari” gli enti e le attività dirette a scopi di religione o culto sono “equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione”. Ed è proprio e solo tale previsione legislativa che consente di riconoscere agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti l’agevolazione dell’aliquota Ires dimezzata prevista dall’art. 6 D.P.R. 601/1973: “L’imposta sul reddito delle persone giuridiche (ora Ires; n.d.r.) è ridotta alla metà nei confronti dei seguenti soggetti: a) enti e istituti di assistenza sociale, società di mutuo soccorso, enti ospedalieri, enti di assistenza e beneficenza; […] c) enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione”.

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Dunque, l’applicazione agli enti ecclesiastici dell’aliquota Ires ridotta alla metà di cui all’art. 6 non è una disposizione generale autosufficiente (che varrebbe per tutti gli enti) in quanto la lettera c) prevede esplicitamente che vi sia un’ulteriore previsione legislativa che equipara il fine di “un” ente ecclesiastico a quello di beneficenza o di istruzione. Detta equiparazione è prevista, come detto, dal Concordato con la Chiesa Cattolica e da alcune Intese con le altre confessioni religiose, per tutti i loro enti ecclesiastici.

Fatte salve future modifiche normative all’art. 6 (cf. art. 1, cc. 51-52-bis, L. 145/2018), l’aliquota Ires dimezzata non compete, pertanto, agli enti “non ecclesiastici” ancorché d’ispirazione religiosa o che svolgono un’attività di natura religiosa in quanto manca una norma legislativa di “equiparazione”.
Da ultimo, sempre a causa della mancanza di una previsione legislativa di “equiparazione”, l’aliquota Ires dimezzata non compete neppure ai 36 soggetti giuridici originati da una delle confessioni religiose che non hanno patti, accordi o intese con lo Stato e riconosciuti in forza dell’art. 2 della L. 1159/1929, “Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato […]”.

La necessità che l’equiparazione ai fini di beneficenza o di istruzione sia prevista da un atto di natura legislativa è confermata anche al paragrafo 5 della circolare n. 15/2022: “Tra i destinatari della riduzione dell’aliquota Ires, l’articolo 6, comma 1, lettera c) del D.P.R. 601/1973 menziona gli enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione”. In tale categoria rientrano gli enti religiosi che abbiano ottenuto normativamente l’equiparazione agli “enti con finalità di beneficenza o di istruzione” e che possiedano personalità giuridica agli effetti civili.

Il caso dell’aliquota Ires dimezzata è anche l’occasione per riconoscere come il fenomeno degli enti caratterizzati dalla finalità/attività religiosa non sia monolitico. Per questo motivo occorre prestare attenzione e dare la dovuta rilevanza agli elementi fattuali e normativi che giustificano trattamenti differenti, secondo il principio della giustizia sostanziale: “a ciascuno il suo”.

Questa considerazione potrebbe aiutare, per esempio, a non perdere la bussola quando si tratta identificare gli effetti giuridici derivanti dalla denominazione di questi enti, dato che presenta “variazioni sul tema”; infatti:

  • gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti sono, in senso tecnico, solo quelli delle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato;
  • vi sono poi gli enti riconosciuti a norma della L. 1159/1929 che certamente hanno un essenziale tratto religioso (derivante dal soggetto che lo costituisce e che richiede allo Stato di riconoscerne la personalità giuridica);
  • vi sono, infine, gli “enti religiosi civilmente riconosciuti” che originano, in un certo senso, dal Parere n. 1405/2017 del Consiglio di Stato che, riguardo la possibilità di costituire un cosiddetto “ramo di Terzo Settore o d’Impresa Sociale”, ha raccomandato di non limitare tale diritto ai soli Enti delle confessioni che hanno concluso patti, accordi o intese con lo Stato ma di riconoscerlo “agli enti religiosi civilmente riconosciuti”. Va segnalato che il Parere del Consiglio di Stato (che ha evocato la giurisprudenza della Corte Costituzionale) ha escluso che il “diritto al ramo” potesse essere limitato agli enti ecclesiastici ma non offre indicazioni positive per identificare gli elementi necessari per identificare la nuova categoria soggettiva dell’ente religioso civilmente riconosciuto.

In conclusione: i nomi non sono equivalenti (sulla questione è estremamente chiaro il Parere del Consiglio di Stato).

Ora occorre riflettere e operare affinché non diventino equivoci, anche a causa della (attuale) nebulosità degli elementi giuridici e fattuali rilevanti per individuarne l’essenza e definirne il perimetro.

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