Società e contratti

28 Settembre 2020

Cessione di ramo d'azienda, la valutazione dell'avviamento

No della Cassazione ai "criteri oggettivi" tanto cari al Fisco: la determinazione dell'esatto valore di un complesso aziendale richiede invece un procedimento articolato, volto a inquadrare gli importi attribuibili ai diversi aggregati che ne formano il coacervo.

Ai fini della valutazione dell’avviamento, è necessario far ricorso a tecniche quanto mai affidabili e idonee a determinarne l’entità. Da sempre l’attenzione del legislatore e soprattutto dell’Amministrazione Finanziaria si è incentrata su tale aspetto, ai fini dell’emersione di materia imponibile rispetto al valore dichiarato dalle parti. Nella prassi, l’avviamento veniva comunemente determinato sulla base degli studi di settore o, in difetto, della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi 3 periodi di imposta anteriori a quello in cui era intervenuto il trasferimento, moltiplicata per 3. La percentuale di redditività non può essere inferiore al rapporto tra reddito e ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle stesse imposte e nel medesimo periodo. Il moltiplicatore è ridotto a 2 nel caso in cui emergano elementi validamente documentati e comunque al ricorrere di almeno una delle seguenti situazioni:

a) attività iniziata entro i 3 periodi d’imposta precedenti a quello in cui è intervenuto il trasferimento;

b) attività non esercitata, nell’ultimo periodo precedente a quello in cui è intervenuto il trasferimento, per almeno la metà del normale periodo di svolgimento;

c) durata residua inferiore a 12 mesi del contratto di locazione dei locali nei quali è svolta l’attività.

A livello normativo la disposizione di riferimento (art. 2, c. 4 D.P.R. 31.07.1996, n. 460) è stata abrogata, ma il Fisco ne ha fatto ancora uso per determinare l’avviamento. La sentenza della Cassazione 22.01.2014, n. 1249 ha fornito elementi utili a inquadrare la situazione, stabilendo che “La determinazione dell’entità dell’avviamento è desumibile, anche, mediante l’adozione dei criteri di cui all’invocato D.P.R. n. 460/1996, ancorché tali criteri siano relativi ad una disposizione regolamentare che non è direttamente applicabile, perché enucleata nell’ambito della disciplina dell’accertamento con adesione (Cass. n. 613/2006), e che è stata adottata in base ad una norma di legge abrogata (Cass. n. 9115/2012). Ciò premesso, va, però, rilevato che: a) la determinazione del valore dell’avviamento costituisce l’oggetto di un giudizio di fatto rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito ed immune da sindacato di legittimità se adeguatamente motivato (Cass. n. 2702/2002; n. 2204/2006; n. 21314/2008; n. 2747/2012); b) la congruità della motivazione della sentenza non può restare né confermata né esclusa per il solo fatto che il metodo di calcolo prescelto coincida con quello già indicato dal D.P.R. 460/1996 che, come tutti i metodi pratici di calcolo, lascia sussistere un certo margine di approssimazione, verificabile, come ogni altro modello valutativo (Cass. n. 613/2006 e n. 9115/2012)”. Conseguenza di tale impostazione è che, sebbene fondata su criteri ed elementi oggettivi, la valutazione del coacervo aziendale necessita di un quid pluris idoneo a corroborare la rispondenza del criterio adottato rispetto alle finalità perseguite dal Fisco.

In effetti, principio consolidato è che l’avviamento di un’azienda non possa esser calcolato a tavolino dal Fisco con mere formule statistiche, poiché occorre tener conto della reale situazione d’impresa.

Secondo i giudici di Piazza Cavour, per valutare l’avviamento è fondamentale considerare il contesto dove è inserita l’azienda e la sua reale capacità di produrre utili; secondo l’Agenzia delle Entrate è invece opportuno rifarsi a criteri presuntivamente oggettivi, per esempio quelli ricavati dalle tabelle elaborate dalle associazioni di categoria di agenti e rappresentanti (tab. FIMAA). La sentenza della Cassazione 21.03.2019, n. 7941 risolve la questione, concludendo che i criteri oggettivi cari all’Amministrazione Finanziaria sono inficiati da insufficiente motivazione, tanto da renderli inadeguati, da soli, per la valutazione dell’avviamento. Tale orientamento è stato ripreso anche dalla C.T.R. Lazio, Sez. V, con la sentenza 28.05.2020 n. 1337.

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