Estero

11 Aprile 2024

Ampia possibilità per la prova della cessione intra UE

La Corte di Cassazione, sentenza n. 8477/204, ha ribadito il principio secondo il contribuente, per dimostrare l’effettiva uscita del bene dal territorio nazionale, può utilizzare qualsiasi documento idoneo come mezzo di prova.

Una società contribuente impugnava davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Pescara un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate contestava la mancata prova della cessione di beni a soggetti UE e di conseguenza assoggettava ad Iva tali operazioni. Ciò in quanto il contribuente non era stato in grado di fornire i modelli CMR.

I due gradi di giudizio di merito rigettavano le richieste della società contribuente che dunque proponeva ricorso in Cassazione.
La società contribuente deduceva in particolare l’illegittimità della decisione di appello, e della pretesa fiscale, sostenendo che, nel caso delle cessioni c.d. “franco fabbrica”, la mancanza del CMR non possa pregiudicare la dimostrazione della fuoriuscita del bene dal territorio nazionale qualora il cedente sia in grado di fornire documentazione probatoria equipollente.

I giudici di legittimità, con una motivazione molto puntuale ed apprezzabile, in applicazione dei principi giurisprudenziali eurocomunitari e nazionali (Corte di Giustizia UE: causa nn. C-273/2011, 492/2013 e 653/2018; Corte di Cassazione: sentenze nn. 29498/2020, 26062/2015 e 4636/2014) affermano innanzitutto che la Direttiva 2006/112/CE e il suo Regolamento di attuazione non forniscono alcuna indicazione in ordine alle prove necessarie per dimostrare l’effettivo trasferimento della merce da uno Stato membro all’altro, rinviando sul punto ai singoli ordinamenti nazionali. Tuttavia, neppure la norma nazionale (art. 41 D.L. 331/1993) indica quali siano i documenti necessari per dimostrare la cessione comunitaria.

La sentenza in commento richiama anche i diversi documenti di prassi emanati dall’Agenzia delle Entrate e in particolare cita la risoluzione n. 71/E/2014 che afferma che, quando non è possibile esibire il documento di trasporto, sono ammissibili altri mezzi di prova idonei e che la prova dell’avvenuto trasferimento del bene in altro Stato membro deriva da un insieme di documenti da cui si ricava, con sufficiente evidenza, che il bene è stato trasferito dallo Stato del cedente a quello dell’acquirente.

I giudici di legittimità hanno chiarito che il contribuente deve dimostrare di avere adottato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto. Dunque, in caso di vendita con clausola “franco fabbrica”, il contribuente dovrà fornire la prova documentale rappresentativa della effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione, ed aggiungono che:

  • il documento di accompagnamento della merce è surrogabile anche con un documento commerciale contenente le stesse informazioni;
  • nei casi in cui il cedente nazionale non abbia provveduto direttamente al trasporto delle merci e non sia in grado di esibire il predetto documento di trasporto, la prova in questione potrà essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro (Cassazione sentenze nn. 2327/2021 e 25587/2021).

La decisione in commento si pone in continuità con l’orientamento giurisprudenziale formatosi sul tema.
In particolare, si ricorda l’ordinanza n. 30889/2023 della Corte di Cassazione che precisava che le prove alternative, ritenute idonee ad accertare l’effettiva uscita della merce dal territorio dello Stato, possono essere fornite tramite la produzione delle fatture accompagnatorie (equiparate ai documenti di trasporto), dei pagamenti effettuati con mezzi tracciabili, delle dichiarazioni rese dai clienti e degli elenchi Intrastat.

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