Diritto del lavoro e legislazione sociale

27 Agosto 2021

Demansionamento e patto di declassamento

Il Jobs Act ha sdoganato la "mobilità verso il basso", consentendo di superare i precedenti limiti con riferimento sia ai livelli, sia alle categorie legali.

Partiamo dal principio, sappiamo tutti la definizione del lavoratore dipendente viene ricavata dall’art. 2094 C.C che recita: ‘’È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.

Se analizziamo bene questo enunciato ricaviamo non solo la definizione di lavoratore dipendente ma anche di quelle che sono le sue mansioni: tema ampiamente disciplinato sia all’art. 2103 C.C., come revisionato nel tempo dal c.d. Jobs Act, D. Lgs. 81/2015, sia dai contratti collettivi. Nello specifico l’art. 2103 C.C. prevede che ‘’il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte’’.

Un occhio di riguardo va riservato a quella che è la categoria legale, che sta ad indicare il profilo professionale dei dirigenti, dei quadri, degli impiegati e degli operai e che sono disciplinati tanto dalla legge (in particolare l’art. 2095 C.C) quanto dai Ccnl. Quindi analizzando la norma si evince che il dipendente può subire una mobilità di 2 tipi:

  • di tipo orizzontale, se vengono variate le mansioni, tenendo inalterati la categoria e il livello di inquadramento;
  • di tipo verticale, se il lavoratore ha acquisito la capacità corrispondenti a una categoria superiore.

Ma il demansionamento è regolato dalla norma? Sì, dal 2015 il legislatore ha sfatato anche questo tabù. Esiste anche la “mobilità verso il basso”, ovvero la possibilità di assegnare al dipendente mansioni inferiori a seguito di una modifica degli assetti organizzativi aziendali tali da incidere sulla posizione del lavoratore. Questo è possibile rispettando 2 limiti invalicabili:

  • il lavoratore deve mantenere la categoria legale (già prima argomentata);
  • il lavoratore può essere demansionato legalmente alle mansioni corrispondenti di un (solo) livello inferiore.

Oltre all’ipotesi appena menzionata, il demansionamento è possibile anche quando nel contratto collettivo è previsto il patto di demansionamento.

La variazione delle mansioni deve essere comunicata per iscritto al lavoratore, pena la nullità della stessa; in aggiunta, il datore di lavoro ha l’obbligo di fornire la dovuta formazione al dipendente per le nuove mansioni che gli vengono affidate.

È possibile infine la stipula del patto di declassamento (senza quindi più limiti, sia con riferimento ai livelli sia con riferimento alle categorie legali). Tale accordo tra il datore di lavoro ed il lavoratore deve essere effettuato in virtù di un interesse per il lavoratore:

  • conservazione del posto di lavoro;
  • conseguimento di professionalità differenti;
  • migliore condizione di vita per il lavoratore o per la propria famiglia.

La stipula dell’accordo deve avvenire in sede protetta e dinanzi ad una commissione istituita presso la Direzione territoriale del Lavoro; il lavoratore ha il diritto di essere rappresentato da un’associazione sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Il lavoratore che subisce il demansionamento illegittimo può presentare ricorso al Tribunale. Qualora, invece, il lavoratore ritenga che la variazione di mansione ostacoli in qualche modo la prosecuzione del rapporto, può presentare le dimissioni per giusta causa. Solamente nei casi più gravi è consentita la richiesta di risarcimento danni.

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